3 gennaio 2013

Ho Cercato il Tuo Nome

Nicholas Sparks è sicuramente uno degli autori letterari più abusati nel campo della trasposizione cinematografica moderna e commerciale (lo dico senza accuse, perché di fatto è quello che è). Purtroppo, però, i suoi racconti non sono sempre facili da trasporre in pellicola come le grandi produzioni pensano. A volte, infatti, capita che una storia abbia bisogno di più tempo e di più profondità per essere descritta al meglio e in tutta la sua ampiezza. È il caso di Ho cercato il tuo nome, un film che avrebbe tanto da dire, ma del quale lo spettatore riesce a grattare solo la superficie. La cosa che più delude del film è l’imponente mole di potenzialità sfruttata male.
La storia ha tantissimi temi (che dovrebbero essere) fondamentali e a volte anche molto forti, i quali avrebbero dovuto essere trattati con maggiore profondità e non accennati alla bell’e meglio (stiamo pensando alla psicologia complicata del piccolo Ben, interpretato dall’angelico Riley Thomas Stewart, o alla mancanza di suo zio Aces che il pubblico non riesce a percepire così chiaramente, se non in un breve stralcio all’interno del secondo tempo). C’è poi il tema delle interpretazioni, dove abbiamo un cast di co-protagonisti non male, al contrario dei due attori principali, Zac Efron e Taylor Schilling, che alternano le loro performance tra fissità imprevista ed esagerazioni incredibili (non aiutano nemmeno i dialoghi didascalici e troppo costruiti, che risultano spesso prevedibili). Il regista della pellicola, Scott Hicks, ci prova a risollevare il tono di una sceneggiatura banale e superficiale scritta da Will Fetters, ma senza risultato, poiché la regia, sebbene apprezzabilmente semplice e poco macchinosa (l’inizio dirompente nel bel mezzo di un raid notturno coinvolge molto), collide in maniera disturbante con un montaggio senza scopo, che sembra voler distrarre lo spettatore ogni volta che si sta per raggiungere l’intensità giusta dell’azione (un vero peccato, visto che più volte qualche inquadratura stava per arrivare ad una bellezza fondamentale, prima di essere intramezzata da una nuova immagine). Bisogna comunque fare complimenti a non finire ad Alar Kivilo, il direttore della fotografia capace di giocare in maniera romantica e sensibile con i colori di diversi tramonti ed albe, e con le tonalità calde e invitanti delle sequenze passionali come con quelle fredde e distaccate delle scene malinconiche (ma Kivilo aveva già dimostrato di essere capace tanto tempo fa, in Soldi Sporchi di Sam Raimi). In sostanza, Ho cercato il tuo nome non ci regala molto di più di qualche bel panorama romantico e di alcune immagini che possono ricordare pellicole romantico/drammatiche fatte molto meglio di questa. Hicks, inoltre, non è stato per nulla aiutato dal cast di attori famosi ma non famigerati (sono ben lontani i tempi in cui il regista lavorava con persone del calibro di Anthony Hopkins e Geoffrey Rush), i quali impersonano i loro personaggio così come Ferrell li ha scritti, superficiali e con poco interesse a voler dire qualcosa in più di quello che deve bastare allo spettatore per capire il plot iniziale. Perché, in sé, il film non è brutto a livello estetico, è solo che aveva tutte le capacità di dare molto di più, e sprecare tutti quei temi in questo modo è davvero un peccato.


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