18 marzo 2013

La Battaglia dei Tre Regni

Cinema orientale, questo sconosciuto. O almeno ciò è vero se si prende in considerazione la mia esperienza personale con le pellicole che arrivano dai cultori del tè e delle spade samurai (inglobando tutte le varie etnie sotto un'unica bandiera per enfatizzare la mia lacuna nei confronti di queste terre). Tuttavia il cinema è un linguaggio universale e quando è fatto bene lo si comprende ovunque. Ipotesi avvallata dal film più costoso della storia del cinema asiatico, ovvero La Battaglia dei Tre Regni, epopea storica che si ispira al libro Il Romanzo dei Tre Regni scritto da Luo Guanzhong intorno al 1400 e facente parte dei quattro romanzi classici della letteratura cinese, riadattato in sceneggiatura da Chan Khan, Kuo Cheng e Sheng Heyu assieme a colui che ha anche firmato la regia di questa fantastica opera, l'internazionalmente famoso John Woo.
Uomo di grande talento e artista a tutto tondo, il regista torna in patria dopo l'interludio americano che l'ha reso noto in tutto il mondo e mette in scena una delle più grandi battaglie che la Cina abbia mai conosciuto nel corso della sua storia, facendo sempre attenzione a mettere in primo piano i veri protagonisti di questi conflitti, ovvero i cittadini che si ritrovavano all'interno dei battaglioni, ma anche gli strateghi, ossia coloro che decidevano le sorti positive o negative di ogni scontro; quelli che ci mettevano il cervello, insomma, mentre i generali organizzavano l'esercito e guidavano i soldati in battaglia. Woo si avvale di un cast di prim'ordine, tra i quali il pubblico più ignorante (non è un'offesa, appartengo anche io a questa categoria) potrà riconoscere i personaggi di spicco come Tony Leung o l'altrettanto bravo Takeshi Kaneshiro, ma anche tutti gli altri meriterebbero di essere citati, per cui ricordiamone un altro come simbolo di un cast fenomenale dal primo all'ultimo, ovvero il cattivo di turno Fengyi Zhang ad impersonare il perfido Cao Cao. Meravigliosa la fotografia di Lu Yue che si presta ad una regia sapientemente costruita in grado di rendere spettacolare ogni battaglia, dalla prima all'ultima e capace di fare impallidire il più imponente blockbuster americano in soli dieci minuti della sua durata. Ad aiutare in tutto ciò ci sono i tre montatori Angie Lam, David Wu e Hongyu Yang che permettono alle sequenze d'azione come a quelle di dialogo di non perdere mai né ritmo né mordente. Impreziosiscono il tutto le strepitose musiche del maestro Taro Iwashiro che, anche se a tratti ridondanti e poco originali, riescono comunque a catturare l'enfasi del momento con poche note e due o tre temi musicali semplici ma sempre efficaci. Dettagliati, caratterizzanti e protagonisti quasi quanto gli attori sono i costumi di Tim Yip, che cura anche la direzione artistica assieme a Eddy Wong, altra componente fondamentale per ricreare l'epicità di una storia come quella a cui potrete assistere qualora foste interessati a recuperare questo maestoso capolavoro. Certo, quest'ultima è una parola piuttosto abusata nel nostro mondo contemporaneo, ma ci tengo a sottolineare che mai come ora può essere usata con più accuratezza: la ricostruzione storica e la fedeltà alle filosofie orientali più importanti, nonché il continuo omaggio a L'arte della guerra, rendono questo film qualcosa di veramente incredibile, una gioia per gli occhi, per il cuore e per la mente che non stanca nonostante i suoi 275 minuti di durata. Se però pensate che quattro ore e mezza siano troppo tempo da regalare ad una pellicola come questa, c'è sempre la versione tagliata apposta per il mercato occidentale della durata di soli 148 minuti, anche se io vi consiglio caldamente la versione estesa, magari vista in due serate diverse, giusto per godere appieno della bellezza estetica e dell'amore per il cinema e per la patria che Woo mette all'interno di ogni fotogramma di questa opera d'arte.


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