26 febbraio 2015

Reality

C'è e ci sarà sempre chi continuerà a sostenere che Gomorra è meglio, che Matteo Garrone con il suo precedente film ha raccontato di più e in maniera più perfetta uno spaccato di vita contemporanea e bla bla bla. Con Reality il regista torna nuovamente nei luoghi partenopei per parlare questa volta di una storia apparentemente meno scandalosa ma, se possibile, addirittura più universale di quella raccontata nel suo film precedente: è la storia di Luciano, pescivendolo come tanti, che prova ad entrare al Grande Fratello, facendo un provino quasi per gioco, il quale però cambierà radicalmente la sua vita, trascinandolo in un lento degrado da cui i parenti tenteranno di farlo uscire. Come con Gomorra, anche questa volta Garrone porta in scena un problema tutto contemporaneo, sociale e del quale tutti fingiamo di ignorare l'esistenza, ovvero la sindrome da GF, come la chiama Maria, la moglie di Luciano, prendendo in prestito le parole del medico che gliel'ha diagnosticata. In parole semplici: l'esserci, il partecipare (in questo caso al GF, ma più in generale ad ogni cosa che c'entri con una telecamera) diventa non solo importante, come ci ricorda il famoso motto, ma addirittura essenziale.

22 febbraio 2015

Il Settimo Figlio

Che cosa si ottiene quando si decide di mettere in scena un film fantasy dopo che il genere ha ormai dato tutto quello che doveva dare e detto tutto quello che doveva dire con tante e ripetitive saghe che, nonostante quel briciolo di originalità insito in loro, non sono riuscite ad attecchire sul pubblico? Penso ai continui flop de Le Cronache di Narnia (dal primo in poi in costante caduta libera qualitativamente ed economicamente, fino allo stop della serie) e, soprattutto, a La bussola d'oro, che non ha mai ottenuto il via libera per il suo sequel, nonostante i buoni presupposti. Ecco che Hollywood ci riprova di nuovo con Il settimo figlio, film firmato Universal e arricchito da un cast di tutto rispetto, con il bel faccino di Ben Barnes a sostenere la locandina e il nome altisonante di Jeff Bridges ad attirare il pubblico; assieme a loro la bravissima Julianne Moore nei panni di una strega cattiva come poche. Nel senso che le altre streghe del film non sono poi così cattive, dunque continui a chiederti continuamente il perché di tutta questa bolgia tra maghi e streghe, di questa terrificante guerra che non dovrebbe esistere se, in fondo, le creature malvagie non sono tutte malvagie e i maghi sono quasi tutti estinti.

12 febbraio 2015

Birdman o (L'imprevedibile Virtù dell'Ignoranza)

C'è un attore, Riggan, che vuole dimostrare di essere tale imbastendo uno spettacolo a Broadway, ma nella testa ha questa vocina (o vociona, che dir si voglia) che continua ad evidenziare quanto la sua vita dipenda dai grandi successi commerciali di un tempo. Riggan, nei lontani anni '90, indossava infatti il costume di Birdman, supereroe protagonista di una saga cinematografica commerciale della quale ancora oggi si porta dietro gli strascichi: il suo alter ego è ciò con cui ogni giorno deve scontrarsi in camerino mentre tutto il resto del mondo è fuori a ricordargli quanto sia inutile e superflua la sua esistenza e quanto poco abbia realmente combinato nel mondo. Satira splendente sulla situazione odierna dei cinefumetti, del cinema e degli attori, Birdman è un apparente unico piano sequenza che racconta la storia di questo attore frustrato che deve farsi riconoscere a livello artistico, discutendo con i fantasmi del suo passato, interiori ed esteriori. C'è tanta carne al fuoco nel nuovo film di Alejandro González Iñárritu, forse troppa; il regista vuole mettere in scena non solo un attore in cerca di apprezzamenti, ma un uomo fallito che in vita sua non ne ha combinata una giusta, che cerca di ripristinare i rapporti con sua figlia (Emma Stone in stato di grazia), che non riesce a voltare pagina anche se vorrebbe tanto farlo, ossessionato dai suoi colleghi che vengono apprezzati dalla critica (Edward Norton che, in paio di momenti, ruba la scena a Michael Keaton) e dal pubblico (tutte quelle celebrità a cui il film fa un chiaro e netto riferimento).

10 febbraio 2015

American Sniper

Eccolo di nuovo in prima fila, il veterano Clint Eastwood, che per la terza volta di seguito parla di storie di vita vissuta, ispirandosi nuovamente a fatti realmente accaduti. Dal grande americano J. Edgar Hoover ai The Four Seasons, il regista passa ora a raccontare le prodezze di Chris Kyle, eroe nazionale per via del suo ineguagliabile talento con il fucile. Kyle è infatti considerato una leggenda (come sottolinea il suo pseudonimo) per gli Stati Uniti: è il più letale cecchino presente sul campo di battaglia in Iraq, dove "i cattivi" stanno dando del filo da torcere ai "buoni". Arriva fuori tempo massimo, questo testo, ma forse arriva nel momento più opportuno, quando tutti hanno ormai sputato la loro sentenza su American Sniper, esaltandolo a capolavoro oppure affossandolo ad americanata. Questi ultimi dovrebbero pensare al medesimo film, con la medesima storia e le medesime dinamiche, provando a metterlo in mano a registi diversi da Clint Eastwood, e cominciare a costruire la vera americanata: spari, bombe, ralenti ad ogni minuto, Chris Kyle circondato dai nemici ma ben capace di farli fuori tutti da solo (un po' alla Orgoglio di una nazione, il film nel film di Bastardi senza gloria, per intenderci), il finale palesato davanti agli occhi di tutti, magari con una bella caduta a terra del corpo di Kyle e un tonfo ovattato della sua testa che sbatte sul pavimento, qualche violino, niente immagini di repertorio e, soprattutto, niente vita vera.