19 novembre 2012

Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

Continua imperterrito il mega-ripasso della saga fantasy di quest'ultimo decennio-quindicennio, capace di appassionare tantissimi sostenitori ma anche di sconvolgerne altrettanti. Per quanto mi riguarda, con questo terzo episodio, siamo ancora nel momento "piacere comune", ovvero dove chiunque parlava bene del fenomeno Harry Potter, anche i più fieri detrattori di questo ciclo narrativo cinematografico e non. Grazie alla regia di Alfonso Cuaròn arriva infatti Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, considerato da molti (me compreso) il migliore capitolo filmico di tutta la saga prodotta da David Heyman.
Da segnalare subito l'importante ingresso nel cast di uno degli attori più importanti del momento, ovvero Gary Oldman nei panni dello sfortunato padrino di Harry, Sirius Black. La sua folle performance non è niente di sensazionale o memorabile all'inizio, ma nei momenti sentimentali Oldman riesce a dare una personalità importante e, oserei dire, fondamentale al personaggio. David Thewlis invece porta sullo schermo un appassionato e paterno professore di Difesa contro le Arti Oscure R. J. Lupin (nomen homen, il docente è infatti un licantropo), uno dei fulcri più importanti di ciò che sarà la storia futura di Harry Potter. Altro ingresso trionfale per il viscido Peter Minus, spalla di Voldemort e traditore dei genitori di Harry, interpretato dal britannico e meraviglioso Timothy Spall (a fianco di Alan Rickman anche sul set di Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street di Tim Burton). Nota di merito a Pam Ferris per il cammeo iniziale di zia Marge. Possiamo ora concentrarci sui tre protagonisti principali: se Emma Watson e Rupert Grint dimostrano una passione valida e piena di buona volontà come interpreti, il povero Daniel Radcliffe sembra essere spesso e volentieri troppo fisso e troppo poco mutevole nelle sue espressioni. Soffre, per così dire, della sindrome del protagonista (ricordiamo, tra gli altri, il Mark Hamill di Guerre Stellari, vero tasto dolente della saga, come l'Hayden Christensen della nuova trilogia dedicata a Star Wars). Diamo onore al merito ed elogiamo l'ottima e innovativa colonna sonora di John Williams che, finalmente, abbandona i temi dei primi due film e si avventura verso nuove frontiere, senza tralasciare il fulcro delle prime colonne sonore (ovvero la musica entrata a far parte dell'immaginario collettivo). La fotografia di Michael Seresin, inoltre, gioca con i toni cupi e freddi senza dimenticare che si tratta di un saga per bambini, evitando comunque di incappare nell'errore di sottovalutare i temi seri della saga (errore che ritroveremo in alcuni capitoli futuri). Il merito di tutto questo va sicuramente a Cuaròn che ha saputo alternare con consapevolezza le sequenze ironiche a quelle oscure, misteriose e di suspense (un esempio: tra la scena di zia Marge e quella del Nottetempo c'è un piccolo stralcio che presenta il Gramo, tanto per intenderci). Se vogliamo trovare un piccolo neo in tutta questa positività, quello è il finale un pochetto troppo buonista e, permettetemelo, americano. Ma questi sono i cosiddetti "obblighi di produzione": è naturale che in una serie dedicata ai bambini il finale debba essere positivo e aperto. Qualcosa sta cambiando, dunque, a Hogwarts: i Dissennatori (ottima la realizzazione di queste figure) e tutti gli altri mostri oscuri ne sono un chiaro esempio. Il mondo magico è sempre più oscuro e sempre meno invitante, qualcosa nell'aria sta cambiando, il Signore Oscuro è sempre più vicino.


2 commenti:

  1. finale buonista, certo, ma non è che la saga abbia chissà quale voglia di essere politicamente scorretta o altro XP
    Film per fanciulli e non molto valido, diretto da Dio e fotografato in maniera di pari livello. Concordo in toto su quello che hai detto, caro vecchio Matt!!

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