7 agosto 2013

Bug - La Paranoia è Contagiosa

Come in ogni pellicola che si rispetti c'è sempre bisogno di un messaggio forte o quantomeno ben trattato che riesca ad arrivare allo spettatore, anche a quello più disattento, che magari si è ritrovato a sbirciare tra i fotogrammi del film quasi per caso, guidato da uno stanco e annoiato zapping serale che l'ha condotto proprio verso quel canale. William Friedkin, acclamato regista sempre pronto ad offrire tematiche interessanti, conosce benissimo questo immancabile e necessario anello della catena e, anche con il suo controverso Bug- La Paranoia è Contagiosa, riesce a tessere una perfetta tela critica e sconvolgente, in grado di mettere in moto il cervello dello spettatore e di farlo riflettere sia a livello di trama che estrapolando il tema dal contesto filmico e trasportandolo nella realtà. Sarà forse vero che siamo tutti controllati, che i "piani alti" della società hanno inventato un qualche meccanismo di controllo tale da poterci monitorare ogni minuto e condizionare le nostre scelte?
Peter Evans, impersonato da un disturbante (e disturbato) Michael Shannon, sembra convinto di questo tanto che riesce a plasmare i pensieri della sua nuova amica Agnes, interpretata da una psicotica Ashley Judd, una giovane donna piena di problemi a causa del suo passato, nel quale abitano i ricordi di un marito violento (che ha le fattezze di Harry Connick Jr.) e di un figlio scomparso. La sua debole e confusa mente trascina Agnes in un vortice di superstizioni che possono essere vere o meno, cosa che a noi non interessa minimamente, perché ciò che conta è l'importante e approfondito discorso sulla manipolazione mentale: fino a che punto possono spingerci le nostre paure prima di scivolare nella pazzia? È meglio vivere una vita di paure diffidando di ogni cosa oppure continuare nella nostra ignoranza, sereni e tranquilli come se nulla fosse? Ma la domanda regina è questa: sono davvero così necessari tutti quei citati microchip a forma di insetti per controllare i pensieri altrui e convincere le persone a sposare le nostre cause? Friedkin mette in mostra uno psicopatico evaso da un qualche manicomio (probabilmente militare se prendiamo per vera la prima metà della sua storia personale), il quale si dimostra da subito in grado di plasmare ricordi e pensieri di una madre dal passato problematico e con un ricordo molto confuso del giorno in cui sparì suo figlio, attimo terribile per cui ancora oggi si sente fortemente responsabile. Alla fine la colpa è di chi prova a manipolare le menti altrui utilizzando i mezzi persuasivi più disparati oppure è a causa delle persone troppo confuse e imbrigliate in una vita piena di guai da non essere più capaci di scindere la realtà dal surreale? Il regista fa in modo che sia lo spettatore a rispondere a queste domande, lasciando aperti i numerosi interrogativi posti durante il corso del film e concludendo una spirale di tensione e suspense nell'unico modo possibile, senza mai dimenticare di posizionare qualche dettaglio anticipatore nei punti e nei modi più curiosi all'interno del primo atto. Scritto da Tracy Letts, autore della stessa piéce teatrale che ha ispirato il lavoro cinematografico, questa nuova fatica di uno dei più talentuosi e particolari autori di cinema non è esente da pecche (come la recitazione un po' troppo esagerata in alcuni punti oppure un ritmo eccessivamente lento in alcuni punti), tuttavia sono tutti piccoli nei sui quali si può sorvolare, poiché non disturbano più di tanto la fruizione della pellicola e la trasmissione del messaggio posto dall'autore, il quale vi farà accapponare la pelle in maniera più gelida rispetto a qualche spruzzo di sangue e a qualche salto dalla sedia.


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