12 giugno 2013

Mariti e Mogli

Freudiano e schizofrenico, Mariti e Mogli non è propriamente un film, ma è più una confessione psicanalitica di Woody Allen e di tutti i personaggi che compongono questa folle pellicola dedicata alla vita di coppia e, più generalmente all'amore. Sentimento incontrollabile e imprevedibile, in questo film è proprio il tema principale di tutte le vicende che, non a caso, si sviluppano all'interno di un 'opera dal titolo più che ovvio. Già dalla semplicità di esso si riesce ad intuire quale sarà l'obiettivo del regista, ovvero un dibattito critico e ironico sulla vita coniugale e uno spaccato tragicomico delle relazioni interpersonali sempre al limite del realismo. Allen affronta le diverse casualità della vita in maniera originale e divertita, ma non divertente, perché il più delle volte in questo film si ride a denti stretti, pensando appunto a quel filo di realismo citato poco fa che attraversa l'intera pellicola. Le situazioni bizzarre e i dialoghi sempre perfetti strappano via più di una risata, ma a fine visione si rimane un po' tristi e spiazzati non tanto da ciò che Allen racconta, ma da come mette in scena tutto, sottolineando in ogni momento l'imprevedibilità della vita e l'impossibilità di tenere sotto controllo certe situazioni, anche a causa di un passato che ognuno di noi si porta dietro e dal quale non può prescindere.
Tra situazioni grottesche e particolari momenti di pura follia (la telefonata di Judy Davis al suo ex marito Sidney Pollack mentre si trova in casa del suo nuovo pretendente è meravigliosa), il regista ci mette in mezzo anche qualche seduta di psicoterapia, con un invisibile analista che diventa tutt'uno con il pubblico, il quale si deve "sorbire" i monologhi di ogni personaggio principale in scena, che saranno momenti introspettivi davvero importanti per mettere in evidenza i punti salienti della visione dell'amore secondo l'autore. All'epoca dell'uscita di questa pellicola il regista si trovava in piena crisi di coppia (romperà poco dopo con Mia Farrow, eccezionale co-protagonista in questo film) e il risultato finale non riesce ad essere preso con leggerezza dallo spettatore, poiché con tanto materiale in scena ci si ritrova a riflettere su tutto ciò che Allen (o chi per lui) dice, ricalcando la realtà in maniera ironica proponendo un lavoro non umoristico ma grottesco, termine decisamente più consono per questo film. Ciò che si percepisce a fine visione è un senso di inadeguatezza per avere appena assistito ad un'opera sì di fantasia terribilmente reale, triste, malinconica e anche un po' nostalgica, dove Allen non evita certamente di sdrammatizzare, ma all'interno della quale comunque fa emergere il lato drammatico e imprevedibile della vita, attorno a cui ruotano quasi tutti i rapporti di coppia. Una parola di troppo, un atteggiamento sbagliato, un piccolo cenno anziché un altro e tutto ciò che c'era di più bello fino a quel momento sprofonda nel baratro del passato e, peggio ancora, dell'illusione auto-imposta, di momenti di passaggio assolutamente incerti e sempre pronti a crollare da un momento all'altro. Insomma, non aspettatevi un progetto divertente e spassoso dall'inizio alla fine, ma un lavoro maturo e introspettivo, forse uno dei più intimi del regista, capace di fare crollare le vostre certezze e di farvi riflettere sulle priorità della vita che, come dice il personaggio di Juliette Lewis, non imita l'arte, ma la cattiva televisione.


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