6 febbraio 2013

A History of Violence

Comincia con questo film il sodalizio tra il regista David Cronenberg e l'attore protagonista Viggo Mortensen che  torneranno a condividere il set anche in La promessa dell'assassino e A dangerous method, dopo essersi incontrare per dare vita ad una nuova idea dell'autore, o meglio, ad una rivisitazione cinematografica del graphic novel di John Wagner e Vince Locke, scritto per lo schermo dallo sceneggiatore Josh Olson, qui alla sua prima collaborazione con Cronenberg. Si può dire, perciò, che A History of Violence è in realtà un cinefumetto, anche se non troverete nessun supereroe al suo interno, e appartiene - come potete notare visionando la pellicola - a quel filone che vede come principali portavoce pellicole come Sin City e Era mio padre. Un cinefumetto, certo, però non colorato e sfarzoso, né tanto meno simpatico e pieno di messaggi positivi, ma questo lo si può notare già dalla locandina. Con questo film Cronenberg si focalizza ancora una volta sul dualismo psicologico che pervade la sua filmografia o, per meglio dire, buona parte dei personaggi che ha portato sul grande schermo.
Questa volta ci concentriamo su un Tom Stall dalla duplice vita, con un presente troppo bello per essere vero (compresa la moglie Maria Bello che si veste da cheerleader e i due figli che non creano guai) e un passato che ha tentato per lungo tempo di nascondere. Il piano sequenza iniziale pervade il film di un realismo intrigante e repellente, i movimenti di camera sono leggeri e i tagli di montaggio - curato da Ronald Sanders - sono principalmente utilizzati, al di là dei raccordi interni e dei classici controcampi, per spostarci da interni a esterni, ad enfatizzare ancora di più il dualismo presente nel film. La casa è il luogo di rifugio principale e la dimora di Tom Stall, mentre è fuori da essa che Joey, l'alter ego di Tom, prende il sopravvento e si scatena in tutta la sua furia omicida. Il giardino, il bar e la casa del fratello sono i principali set degli spietati omicidi di Joey, ma all'interno di casa sua torna ad essere un pacato padre di famiglia. Interessante poi notare come Cronenberg si concentri sulle conseguenze di questa tragica scoperta da parte della famiglia: il figlio Ashton Holmes prende ispirazione dal padre e decide di reagire violentemente ai bulli della scuola, la già citata moglie è spaventata da Joey ma preoccupata e attratta da Tom, e anche i loro rapporti passano da romantici e delicati a violenti e animaleschi. Oltre agli ottimi comprimari impersonati da Ed Harris e da William Hurt, chi capeggia questo cast è assolutamente il protagonista Mortensen che fa un lavoro eccelso nell'impersonare un combattuto personaggio a metà tra una realtà e un'altra, desideroso di chiudere i ponti con un passato impossibile da cancellare, per cui sempre presente all'interno della sua vita. Il passaggio da un personaggio all'altro e, di conseguenza, da una faccia all'altra è per Mortensen calcolabile in un taglio di montaggio alternato dal controcampo dell'interlocutore, tale da rendere quasi impercettibile per lo spettatore il cambiamento interiore del protagonista. Il ritmo lineare e costante sottolinea ancora di più il lato drammatico della situazione senza però tralasciare la componente action della storia, grazie a qualche sequenza girata molto bene. Ottima, inoltre, la scelta di ridurre al minimo necessario la violenza della storia, lasciando che siano i protagonisti a raccontarsi e a raccontare le loro azioni tramite i dialoghi evitando così di scivolare in un bagno di sangue senza senso e facendo in modo che il pubblico possa concentrarsi al meglio sul lato psicologico. Nota di merito alle musiche di Howard Shore e alla fotografia di Peter Suschitzky, sempre in sintonia con le scelte dell'autore. Un film che è un elogio malinconico alla vita tranquilla e una descrizione disturbante della violenza, capace di raccontare con neutralità entrambe le cose, uno dei migliori lavori dell'ultimo Cronenberg e della sua filmografia in generale.


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