17 maggio 2015

Il Racconto dei Racconti

Alzate la mano: in quanti non davano la benché minima fiducia all'ultima idea di Matteo Garrone? E invece il regista romano si dimostra l'unico degno depositario di quell'eredità fiabesca e antica che ricorda un'Italia dimenticata o addirittura sconosciuta. Sono i luoghi a farla da padrone, ne Il racconto dei racconti, fatica co-prodotta da Italia, Regno Unito e Francia e, dunque, obbligata ad un distacco geografico necessitato dall'universalità che i tre paesi vanno cercando, estrapolando i racconti scelti da Garrone dal contesto partenopeo ed inserendoli in uno linguisticamente più neutrale. Peccato, perché le fiabe raccolte dal libro di Giambattista Basile avrebbero avuto un sapore diverso, se recitate in dialetto napoletano, così come avrebbero avuto un'impatto diverso i personaggi principali, se Vincent Cassel e Salma Hayek (assieme agli altri volti noti, poiché non si può fare una grande produzione senza star) fossero stati sostituiti da qualche sconosciuto attore di teatro.
Al di là di queste inezie (piccoli sassolini nelle scarpe di un pedante chiacchierone virtuale) nel film si respira tutta l'aria dell'Italia che fu, ma anche del cinema che fu e, probabilmente, se le cose continueranno ad andare per il verso giusto, di quello che tornerà ad essere: la mano artigianale di Garrone riporta il cuore dello spettatore verso quel cinema costruito dalla passione e dal lavoro manuale, ed ogni cosa è tangibile e reale, in queste fiabe (c'è chi ha detto che Garrone ha tratto ispirazione dalla serie Il trono di spade, ma gli americani, ne sono convinto, ce li invidiano quei luoghi così veri e concreti, loro che i draghi li devono rinchiudere in una caverna buia per far sembrare che siano veri, al contrario del drago marino di Garrone, esposto alla luce del sole). Così ci si lascia trascinare dai racconti messi in scena, ci si commuove di fronte al forte legame tra i due gemelli nati dallo stesso cuore di drago ma da due madri diverse, si patisce la prigionia assieme alla povera Viola, ma si compatisce anche il povero Orco, rude e grezzo, ma a modo suo gentile. L'unico, vero dilemma, se proprio vogliamo trovarne uno, è la mancanza di tempo per poter sviluppare in maniera approfondita i personaggi. Le storie ci sono (tre), le tematiche anche (dai peccati dei padri che gravano sui figli alle responsabilità che abbiamo nei confronti delle persone a noi vicine e via discorrendo), tuttavia ogni personaggio resta sullo schermo per poco tempo prima di passare all'altra storia e poi all'altra ancora, tornando quindi sulla prima e così via fino alla fine del film. Questo montaggio alternato impedisce, purtroppo, di appassionarsi veramente a qualcuno di questi personaggi (ma forse è un problema tutto personale, visto che anche il tanto acclamato Gomorra mi fece lo stesso effetto), lasciando che lo spettatore venga incantato dai luoghi, dalle ricostruzioni e dalla generosa mano del regista, però senza riuscire a tifare veramente per uno o l'altro dei protagonisti. Chi guarda può dunque scegliere se accettare il film per quello che è e per quello che riesce ad offrire oppure lasciarsi incantare talmente tanto da non riuscire a staccare gli occhi dallo schermo e chiedere, come fa un bambino quando la fiaba è appena finita, che se ne raccontino ancora.

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