12 aprile 2013

Tutta la Vita Davanti

Se c'è una cosa che si impara guardando una qualsiasi pellicola di un regista come Paolo Virzì è che tutto si può sdrammatizzare, qualunque sia la gravità del tema trattato, una qualità che ha già messo in mostra in pellicole come La bella vita o anche in Baci e Abbracci, ma ancora una volta questo autore contemporaneo e nostrano si dimostra capace di scherzare su tematiche contemporanee che toccano tutti, come la morte e il lavoro precario dei giovani. Protagonista di questa pellicola è una brava Isabella Ragonese, circondata da star italiane come Valerio Mastandrea e dagli attori feticci di Virzì quali Massimo Ghini e la sorprendente Sabrina Ferilli che, sotto le mani di questo regista, riesce sempre a stupire. In Tutta la vita davanti ciò che è interessante notare è il sottile filo che lega la vita alla morte, leggerissimo collegamento che mostra quanto la precarietà della vita sia molto simile ai momenti che anticipano la morte.
Ciò che convince principalmente lo spettatore, come in quasi tutte le pellicole di Virzì, è la semplicità e la leggerezza con cui vengono portati sullo schermo personaggi e situazioni, sempre naturali e convincenti e mai falsi o costruiti, qualità che permette allo spettatore di simpatizzare subito per i protagonisti e di creare quel legame empatico che serve ad ogni narrazione per funzionare nel migliore dei modi. Peccato però per la voce fuori campo di Laura Morante, troppo letteraria ed eccessivamente impostata sotto uno stile troppo fiabesco, che spezza quella costruzione realistica e semplicistica che Virzì crea anche in questa pellicola. Per fortuna però ci sono i momenti di narrazione lineare non raccontati dalla Morante che convincono in pieno e che mettono in scena il lato patetico di ogni personaggio, mostrando le due facce di ogni persona e giocando con esse al fine di analizzare al meglio un'altra sottile linea, quella tra l'innocenza e la gelosia presenti in ognuno di noi. Ad avvallare tutto ciò l'ironica analisi Nietzschiana sul Grande Fratello, specchietto per le allodole per tanti ma reality show dall'impronta filosofica per pochi, un altro dualismo messo in scena per enfatizzare un importante dato di fatto, quello della precarietà anche a livello sociale del modo in cui il mondo ci accetta e ci classifica. Da laureata con il massimo dei voti, Marta passa ad essere la centralinista di un call center per poi essere apprezzata da importanti università estere per i suoi scritti, a dimostrazione che ogni piccolo microcosmo sociale ci accetta a seconda delle proprie aspettative nei nostri confronti e di che cosa possiamo offrire noi ad esso. Ma il discorso principale e forse il più importante che si può estrapolare da questo tragicomico film è quello di impegnarsi a fondo e duramente dando il massimo di noi stessi qualunque sia l'ambito che la vita ci mette di fronte, perché non si sa mai che cosa può riservarci il futuro e non si può certo dare per scontate determinate strade che magari non capiteranno mai. In sostanza bisogna rimboccarsi le maniche in ogni caso e cercare di esprimere il proprio talento comunque, sia che si finisca in un call center sia che si venga chiamati da una qualche importante università straniera e, come canta la famosa canzone finale utilizzata per chiosare il film, "che sarà, sarà".


2 commenti:

  1. Finalmente un film che ho visto e che posso commentare XD
    Recensione ben fatta come tuo solito, il dualismo precarietà/morte mi era lievemente sfuggito a favore della costrizione dei personaggi, davvero ben descritti e caratterizzati. Virzì è un autore del quale andare fieri, il più delle volte.

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    1. E' l'ironia livornese che lo fa raccontare in quel modo così naturale e spensierato, secondo me. Il dualismo precarietà vita/morte probabilmente l'ho visto solo io, però ci tenevo a sottolinearlo, anche perché altrimenti la morte della mamma non avrebbe avuto così tanto spessore in sceneggiatura. Sempre secondo me.

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