14 marzo 2015

Foxcatcher - Una Storia Americana

Per la terza volta nella sua carriera Bennett Miller torna al cinema biografico per raccontare parabole americane che rappresentano gli Stati Uniti e il loro lento ma inesorabile decadimento culturale e sociale. Mark Schultz, John Du Pont e Dave Schultz diventano quindi metafore rappresentative di speranze perdute, sogni infranti, desideri inarrivabili e mal riposta voglia di dimostrare di essere qualcuno che in realtà non si è. Così fa il personaggio di Channing Tatum, Mark, ma anche quello di Steve Carell, John, i quali percorrono due binari incidenti, che si incontrano per un attimo e che poi si allontanano l'uno dall'altro, prendendo strade totalmente opposte. In mezzo a loro c'è Dave, ovvero Mark Ruffalo, fratello di Mark, nonché suo mentore e punto di riferimento nella vita, senza il quale Mark prova a vivere, ma inutilmente poiché, tornando al discorso di prima, non si può essere quello che non si è. Ma i fratelli Schultz sono solo un tassello in questa contorta storia dell'America, della quale il vero protagonista e senza dubbio il filantropo Du Pont, ossessivamente influenzato da una figura materna che cerca disperatamente di allontanare da sé, proprio come Mark fa con il fratello. e sempre desideroso di voler dimostrare di essere indipendente da lei, proprio come Mark con Dave.
Così si improvvisa coach sportivo e diventa finanziatore di un team di lotta in casa sua, per tagliare con il passato, con le radici, e cercare emancipazione. Ma il passato è sempre lì, da una parte a ricordarci chi siamo e che cosa dovremmo essere (la madre di John), dall'altra a sostenerci, comprenderci e aiutarci ad andare avanti (il fratello di Mark). Due storie apparentemente simili che però hanno ben poche cose in comune, le quali si fanno comunque simboli di un'America disillusa e ricca di sogni infranti, così sicura di sé da essere convinta di poter uscire dai binari senza pagarne le conseguenze, un'America totalmente diversa rispetto a quella che il cinema d'oltreoceano ci presentava decenni fa. L'altra faccia degli Stati Uniti raccontata, insomma, da un Bennett Miller ispirato come non mai che, se da un lato compone un quadro di rara bellezza tenuto insieme da alcuni momenti davvero indimenticabili (Tatum isterico nella stanza d'albergo su tutti gli altri), dall'altro decide, forse volutamente, forse necessariamente, di sacrificare il ritmo della narrazione per poter raccontare la sua America e la sua storia, perdendo quindi anche un protagonista unico, ma non ottenendo, purtroppo, tre protagonisti, bensì tre co-protagonisti. La storia non si basa infatti sui personaggi ma sui loro rapporti, a volte simili, a volte differenti, a volte conflittuali, a volte amichevoli, senza però avere un vero centro narrativo da cui diramare poi tutto il resto. Attenzione: questo non è necessariamente un lato negativo, anzi, ciò dimostra ancora di più l'importanza e l'audacia di una scelta registica ben imposta già nel momento della scrittura del film. Tuttavia è un piccolo appunto che mi sento di dover evidenziare per quelli che, come me, potrebbero restare non pienamente soddisfatti dalla visione di questo film, il quale potrebbe non arrivare completamente, nonostante i numerosi pregi descritti in un banalissimo testo che sorvola su tanti punti validi (le maschere ricalcate sopra i volti e i corpi degli attori, la quasi totale assenza di musiche, giusto per citarne un paio) che meriterebbero un approfondimento ben più importante rispetto a quanto io possa fare su questo misero blog.

2 commenti:

  1. Film che spirava poco o nulla che che sta facendo parlare molto di sé. Dovrò vederlo!

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  2. A me ha preso eccome, invece. Storie così torbide e insinuanti devono prendersi tutto il loro tempo per irretirti, e avviluppartisi ai piedi, poi alle gambe, alla cintola, al torso, immobilizzarti le braccia e soffocarti, senza che tu te ne accorga, come un serpente maligno. Ma io l'ho visto in originale, e film dove l'atmosfera conta così tanto possono subire dei danni irreparabili da un qualunque eventuale doppiaggio. Come può un qualsiasi doppiatore anche solo tentare di imitare il suono della voce di Steve Carell (qui in una delle più monumentali prove d'attore del cinema recente), che in originale comunica ad ogni sillaba il disagio di non riuscire a nascondersi nemmeno dietro la propria stessa maschera?

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