9 maggio 2013

Gomorra

Ancora una volta i miei gusti personali si scontrano con quelli del pubblico e della critica, facendomi diventare portavoce di una minoranza probabilmente incapace di comprendere quanto alcuni film siano in realtà opere di genio. Tuttavia per ciò che concerne Gomorra, opera cinematografica ispirata all'omonimo romanzo-inchiesta scritto da Roberto Saviano, non è del tutto vero che io non riesca a comprenderne l'importanza estetica e narrativa che il regista Matteo Garrone mette in scena, poiché condivido quasi tutte le parole che le critiche positive e studiosi di cinema ben più importanti ed acculturati di me scrivono nei loro testi dedicati a questo film. L'unico problema è che io non mi trovo in armonia con lo stile registico di Garrone, che viene esasperato oltre il limite in questo film, perdendo quel contatto con la realtà di cui invece avrebbe bisogno. Cercherò disperatamente di spiegarmi nel migliore dei modi, ma vi anticipo già che non riuscirò a farmi comprendere al meglio.
Lo stile diretto e sintetico che il regista utilizza per descrivere questo mondo è la scelta più precisa e logica per una narrazione del genere ed è molto interessante l'approccio ad un realismo crudo, puro e terribilmente efficace, il quale riesce a portare sullo schermo uno spaccato macabro e fedele di una realtà contemporanea che fino all'uscita del libro di Roberto Saviano è rimasta nascosta agli occhi dei più. Campi e piani vengono gestiti al meglio per creare effetti precisi e per dare il giusto spazio ad ambiente e personaggi, sfruttando il più delle volte la macchina a mano per rendere lo spettatore il più partecipe possibile. Se però il piano di regia è ben studiato, non si può dire lo stesso del ritmo, non tanto del film in sé, quanto di ogni singola scena. Ciò che ho trovato mal funzionante in questa pellicola è stato il linguaggio prolisso di Garrone, tipico del suo stile ma qui portato all'eccesso (come già detto sopra) ed enfatizzato per creare a tratti suspense e a tratti momenti utili per sospendere la narrazione cronologica e soffermarsi su una riflessione (personale del pubblico o intima dell'autore), che però ha il triste difetto di infilare all'interno del film dei momenti troppo dilatati prima di tornare a narrare le vicende dei protagonisti. Se la critica verso un mondo trascurato dalla maggior parte delle persone è una operazione riuscita egregiamente, dall'altra parte il discorso cinematografico non gode sempre degli ottimi momenti quali sono l'inizio (decisamente la parte migliore del film) o molte sequenze interne (come quella dei camion guidati dai ragazzini, anch'essa sofferente di un montaggio troppo prolisso). Probabilmente alla ricerca di un realismo più efficace ma allo stesso tempo in sintonia con il suo stile, Garrone scivola sul ritmo delle varie situazioni, narrando la storia in maniera discontinua e lenta, il che non significa che l'operazione cinematografica in sé non sia riuscita. Intendiamoci, chiunque parli bene di questo film ha tutte le sue ragioni e chiunque lo elogi a capolavoro è libero di farlo, quello che ho cercato di fare in queste pochissime righe non è stato smontare una precisa e minuziosa opera filmica del cinema italiano contemporaneo, ma cercare di fare capire a chiunque è arrivato fino a questo punto quali sono, secondo me, i punti deboli di questo lavoro, elogiato all'eccesso probabilmente più per l'emblema che rappresenta (ovvero la lotta, quantomeno culturale, alla camorra) che non per il risultato complessivo di una pellicola la quale, nonostante tutti i pregi e i plausi che si merita, ha comunque qualche piccola e per alcuni insignificante crepa che, sempre secondo la mia personalissima opinione, va messa in evidenza.


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