17 maggio 2013

L'amico di Famiglia

Struggente, particolare e narrativamente coerente, Paolo Sorrentino è riuscito a distinguersi dal suo primo film per stile, qualità e maestria tecnica e registica. Le sue pellicole si rifanno ad una realtà esistente e sempre tragicomica, ma mai così dettagliata o precisa, o meglio: c'è sempre un fondo di fantasia nelle storie di Sorrentino, nonostante sembrino in un primo momento film realistici. L'amico di Famiglia non è da meno proprio per la componente estetica che l'autore mette in atto, distaccandosi dai personaggi e mettendo in scena una narrazione quasi letteraria per quanto concerne dialoghi e monologhi, ma soprattutto cinematografica quando si pensa ai suoi movimenti, alle sue inquadrature che raccontano, spiegano, analizzano e mostrano, ma non rassicurano mai. Come nelle sue precedenti pellicole, anche questa volta Sorrentino racconta il suo protagonista e i personaggi che gli ruotano attorno grazie ad una macchina da presa sempre posizionata nel punto migliore e grazie a scambi di battute e caratterizzazioni studiate in ogni minimo dettaglio dallo stesso regista che è anche e ancora una volta sceneggiatore di ciò che porta sullo schermo.
Grottesco e macabro, cinico e bizzarro, il protagonista Geremia impersonato da Giacomo Rizzo è uno spietato usuraio che è convinto di essere una persona dal cuore d'oro, un uomo onesto approssimabile ad un benefattore piuttosto che ad un usuraio e, sicuro di essere ciò, continua imperterrito nella sua missione, senza mai fermarsi a riflettere su quanto sia giusto o sbagliato, finché un giorno non incontra il Paradiso, incarnato in Rosalba, giovane donna che ha le fattezze di Laura Chiatti, la quale è altrettanto convinta che la sua beneficenza, quella elargita ad Emergency, sia migliore e che i suoi valori morali siano i più validi. Almeno finché non decide di tentare altre strade, un po' per scelta e un po' per necessità, ma la particolare analisi che Sorrentino fa con ognuno dei personaggi raccontati sottolinea sempre una differenza tra ciò che noi pensiamo di noi stessi e ciò che invece siamo per gli altri. Non c'è limite alla decadenza personale che non sia quello imposto da noi stessi, limite il quale spesso non viene posto o nemmeno preso in considerazione, poiché ci sentiamo a tal punto nel giusto da dover trascurare gli obblighi che abbiamo verso gli altri. Altro esempio fondamentale per tutto ciò è il personaggio di Gino, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, personaggio complesso rinchiuso in un co-protagonismo piuttosto simbolico, se vogliamo iniziare a fare voli pindarici all'interno di questo film. Una parte secondaria tanto importante e forte per questo piccolo spaccato sociale da sparire quasi nel nulla e quasi in maniera silenziosa nel momento in cui non appartiene più al quadro analizzato da Sorrentino e recupera la retta via. Con un tocco allo stesso tempo letterario e filmico, l'autore ci accompagna all'interno di un mondo marcio e disperato, pieno di macchinazioni dannose e pericolose, in cui vige non più la legge del più forte, ma quella del più freddo e spietato, quella in cui ci si distacca dai problemi degli altri e si pensa di essere delle brave persone truffando e mandando in rovina, mascherando il tutto dietro la convinzione che si sta facendo qualcosa di buono, che si dà una mano a chi ne ha bisogno, nascondendo allo stesso tempo la propria brutalità non solo agli altri, ma anche a sé stessi. Ottimo il lavoro del montatore Giogiò Franchini e al direttore di fotografia Luca Bigazzi, assieme a tutti gli altri comparti tecnici. Nota di merito ad un cast posato e mai sopra le righe, nonostante le numerose maschere teatrali che Sorrentino mette in gioco.

4 commenti:

  1. è il film di Sorrentino che preferisco, ti dirò, e guardacaso è il più osteggiato dalla critica XD

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    1. Vabbè che c'è chi dice che dopo "L'uomo in più" Sorrentino non abbia fatto niente di meglio...

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    2. ... film che, guardacaso, non sono mai riuscito a finire dalla noia.
      Avrà ragione quel mio amico che dice che non capisco un cacchio di cinema?

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    3. Ma probabilmente sono i critici che vogliono sentirsi talmente al di sopra degli altri che ciò che fa schifo alla gente loro lo esaltano a capolavoro. Finora "L'uomo in più" è il minore di Sorrentino. "Le Conseguenze dell'Amore" è tre volte meglio.

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