Cinematograficamente parlando il regista Peter Weir è uno degli autori più interessanti ancora in circolazione. Sparito da un po' di tempo e ritornato qualche tempo fa con un'altra grande pellicola che porta il titolo di The Way Back (quasi trascurata dalla distribuzione italiana), l'autore di The Truman Show realizza ormai dieci anni fa questa epopea marittima ambientata nel 1805, nel bel mezzo delle guerre napoleoniche. In Master & Commander - Sfida ai Confini del Mare a farla da padrona è una wilderness onnipresente, una determinante paura della natura alla quale vengono associate numerose superstizioni dai protagonisti della vicenda, come quella più importante - a livello narrativo - del Giona. Da questo punto di vista, quindi, il mare e la nebbia prendono il posto del vero nemico storico dell'Inghilterra, quello francese, rendendo la fregata napoleonica quasi uno spettro nascosto tra i banchi fitti e le alte onde movimentate e pericolose (tanto che non esiste un vero e proprio villain, il capitano francese della temuta nave è di fatto limitato ad una breve, furbesca e fugace comparsa).
Weir ritorna ancora una volta a rendere protagonista l'acqua, che si trasforma in un minaccioso antagonista terribile e imparziale, sempre neutrale e mai completamente favorevole, un mostro che va sfruttato in maniera ponderata e furba. Il regista gioca poi con gli ambienti rendendo il tutto più realistico possibile e facendo il gioco inverso rispetto a quello che fece Hitchcock nel suo Prigionieri dell'Oceano: se il Maestro della Suspense dilatò gli spazi di una scialuppa affinché tutto risultasse più cinematografico possibile e al servizio della storia e delle azioni dei personaggi nel migliore dei modi, qui Weir decide di svolgere buona parte delle riprese sopra delle vere barche, enfatizzando la componente claustrofobica dei velieri e permettendo allo spettatore di immedesimarsi ancora di più nei protagonisti, un cast di ottimi attori guidati da un camaleontico e quasi irriconoscibile Russell Crowe, il quale da solo potrebbe reggere tutto il film, ma che affiancato da un bravissimo Paul Bettany e da tutti gli altri co-protagonisti e comparse dà il meglio del meglio di sé. Ottimi anche i comparti tecnici, dalla granulosa e sempre opaca fotografia di Russell Boyd (vincitore del Premio Oscar per il suo lavoro) al ben calibrato montaggio di Lee Smith (che deve accontentarsi della sola candidatura). A vincere una seconda statuetta fu Richard King con il suo perfetto e coinvolgente montaggio sonoro, sempre pronto ad enfatizzare ogni singolo rumore (incantevole e ricca di tensione tutta la silenziosa parte iniziale, priva di musiche e pienamente avvolgente, come se lo spettatore fosse lì assieme ai marinai). Scritta a quattro mani da Weir e da John Collee, ispirata all'omonimo romanzo di Patrick O'Brian (il primo di una saga marinaresca che avrebbe potuto dare il via ad un franchise redditizio ma che fu surclassata dai pirati disneyani guidati da Johnny Depp quello stesso anno), la sceneggiatura di questo film non manca di dare un punto di vista a tutti i personaggi messi in scena, ognuno dei quali ha qualcosa da dire e un ruolo da giocare in questa guerra a metà tra realtà e immaginazione. Non sono poche le scene memorabili che costituiscono l'ossatura di questo progetto (si pensi alla meravigliosa sequenza in cui tutti i marinai fanno il saluto al signor Hollom, un bravo Lee Ingleby, durante il suo passaggio a causa di un severo rimprovero del capitano avvenuto in precedenza) e, anche se magari non vive in ogni momento del ritmo adeguato, resta comunque un delizioso e convincente lavoro autoriale ricco di tutti quei temi tanto cari a Peter Weir (l'eroismo, la solida amicizia mai messa in discussione, la pericolosità del mare aperto e della natura in generale, la fragilità dell'uomo). Una pellicola che merita l'attenzione di tutti, una meravigliosa opera di regia e sceneggiatura che racconta in maniera adeguata e fedele che cosa significa(va) vivere per mare, con i suoi pro e i suoi contro.
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