21 febbraio 2013

Pinocchio

Indubbiamente la nostra cara Italia ha vissuto un periodo di prosperità artistica veramente eccezionale, se pensiamo ai vari Italo Svevo, Luigi Pirandello, ma anche Sergio Leone, Federico Fellini o ancora il protagonista di queste righe, Carlo Collodi. Si può definire quindi un vero piacere ritrovare sul grande schermo una nuova rivisitazione della classica storia del piccolo burattino dispettoso che sogna di diventare un bambino vero. Enzo d'Alò, famoso per pellicole come La gabbianella e il gatto e il più nostrano La freccia azzurra (il primo ispirato ad un racconto di Luis Sepulveda, il secondo ad una storia di Gianni Rodari), riporta in vita la storia di Collodi nella nuova versione italiana di Pinocchio, co-sceneggiata dal già collaudato compagno di script Umberto Marino. Uno degli ultimi pilastri dei cartoon nostrani, della carta che prende vita, preferisce giocare sulla bidimensionalità passiva dei paesaggi che si scontrano con i movimenti fluidi e continui dei personaggi che danno vita alla storia.
Tra pennellate ben visibili, sfondi fissi e indimenticabili, sembra quasi che la collaborazione di Lorenzo Mattotti trasformi il film di d'Alò in un flusso continuo di dipinti da ammirare, come se l'autore non voglia raccontarla la storia del burattino, ma voglia piuttosto immortalarla in quadri ben delineati. I personaggi caricaturali, grotteschi e sproporzionati dimostrano una ricerca artistica molto più profonda dell'intrattenimento puro e semplice al quale pellicole animate digitali (italiane e non) ci hanno ormai abituato da troppo tempo, facendoci dimenticare quel tempo lontano in cui anche la Disney si prestava a questo mix di arte ed entertainment, ormai portato avanti quasi esclusivamente dalla Pixar (Fantasia e Lilli e il Vagabondo sono ormai delle lontane reminiscenze). La scelta stilistica a metà tra la pittura e la poesia può solo giovare alla parte autoriale della pellicola, ma ciò che ne risente è purtroppo l'intrattenimento e lo sviluppo logico della trama: se da un lato il coinvolgimento visivo è completo e spettacolare, dall'altro la storia si lascia portare avanti da dialoghi piuttosto semplici e sbrigativi (molto spesso ripresi pari pari dal romanzo di Collodi, ma recuperare un libro così com'è non è mai l'operazione giusta) e anche da situazioni a tratti appiccicate a forza (la comparsa-scomparsa-riapparizione di alcuni personaggi come la fata Turchina e il Grillo Parlante rimangono senza spiegazione). In questi momenti l'attenzione viene catturata dalle musiche nostalgiche e bellissime del compianto Lucio Dalla, che si ritaglia anche una piccola particina da doppiatore prestando la sua voce al Pescatore Verde: il suo clarinetto e i suoi temi in generale regalano alla pellicola una particolare connotazione fantastica che solo quel tipo di musica è in grado di dare. Ma in sostanza il lavoro di Enzo d'Alò risulta incompleto proprio a causa di questa sua incoerenza a livello narrativo che stanca lo spettatore e gli impedisce di arrivare alla fine senza sentire un po' la pesantezza di quello che si è visto, il che non è del tutto un male, ma è comunque un lato negativo che bisogna sottolineare. Questo però non fa di Pinocchio un brutto film, anzi, se confrontato con la produzione autoriale e commerciale dell'Italia moderna è comunque un piccolo gioiello che merita di essere visto, soprattutto per una messa in scena davvero valida e uno sguardo nostalgico alle belle arti nostrane che abbiamo disimparato ad apprezzare. I bambini non ne rimarranno estasiati, ma col tempo potranno appassionarsi molto di più a questa visione espressionista-futurista di uno dei simboli culturali e sociali della nostra nazione.


2 commenti:

  1. Appena finito di vedere. Concordo in tutto, soprattutto sui difetti, ma ha saputo ugualmente coinvolgermi come poche cose hanno saputo fare ultimamente.
    La scena della canzone del Gatto e della Volpe mentre bruciano l'albero su cui sta Pinocchio è fantastica, mentre alla canzone cantata da Geppetto dentro il pescecane avevo quasi le lacrime *.*

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    1. Già, un film poetico ed espressionista, più d'autore che d'intrattenimento.

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