Se per il protagonista del film l'unico superpotere esistente brandisce la falce, per chi scrive l'unica certezza dicembrina è il sedersi in una sala cinematografica e godersi l'annuale prodotto dell'immancabile Woody Allen, regista sempre più bistrattato da un pubblico che gli grida addosso scaduto, venduto e tutte quelle belle parole che finiscono per -uto, non volendo accorgersi di quanto il cinema di Allen degli ultimi anni sia variegato, certo, ed inevitabilmente diverso dalle vecchie fasi che il regista ci ha regalato nel corso della sua carriera, ma allo stesso modo continuo e omogeneo. In Magic in the Moonlight, infatti, torniamo a parlare di magia e di amore, di fede e di scetticismo, di pessimismo e materialismo, di aldilà e romanticismo, con il più abile prestigiatore degli anni '20, Colin Firth, che deve smascherare la più abile finta medium del periodo, Emma Stone. In Firth si insinuerà il dubbio di una vita dopo la morte e di un bisogno di accettare qualcosa di incomprensibile, che non sarà propriamente un eventuale regno dell'oltretomba, alla fine del film.
Allen imbastisce una commedia romantica che, non appena prende il via, non cala mai di ritmo e spigliatezza nelle battute, dipingendo personaggi meravigliosi e appassionanti, dall'ego imperturbabile (dal protagonista al suo amico fino alla sua vecchia e saggia zia, che riesce sempre a fargli abbassare la guardia e a farlo tornare un poco umano) o dalla fragilità marcata (quei co-protagonisti che si lasciano ammaliare dalle abili capacità della Stone), tutti che necessitano una sicurezza solida, tangibile, seppur fittizia. Tra alti e bassi di pessimismo, questa volta l'autore statunitense ci regala una commedia in grado di sciogliere anche i cuori più scettici, dove i personaggi si lasciano trasportare dalla magia dell'incredulità e dell'incomprensibile che si palesa di fronte ai loro occhi, scoprendo che c'è sempre bisogno di qualcosa a cui appigliarsi, quel non so che di magico che ci possa rendere felici, la nostra oasi personale all'interno di un deserto vuoto e vacuo che è la vita stessa, un'oasi sempre e comunque tangibile (perché, nonostante la sorpresa di vedere Firth in un momento di preghiera, Allen resta pur sempre ateo), che può essere la città di Parigi (Midnight in Paris), oppure una doccia sopra un palcoscenico di un teatro che ci possa fare sentire a nostro agio (To Rome with love) , o ancora una scappatella extra coniugale (Match point). Debole e traballante oasi, quest'ultima, destinata a finire male per entrambi, come finirà male l'oasi fatta di denaro e preziosi di Cate Blanchett (Blue Jasmine), la quale non uscirà mai completamente dalla sua depressione cronica, probabilmente anche a causa di non aver trovato nessun appiglio adatto a lei. Bisogna dunque cercare un'ancora di salvezza che possa reggere il peso dei nostri problemi e possa salvarci dall'orrore di questa nostra esistenza e, citando uno degli ultimi film del regista, qualunque amore riusciate a dare e ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare o a procurare, qualunque temporanea elargizione di grazia, basta che funzioni.
Non un brutto film, ma non è riuscito a piacermi fino in fondo. Mi sembra che nonostante gli ottimi (e usuali) spunti di riflessione alleniani, giri i tondo senza mai arrivare a un punto preciso. Per dire, gli ho preferito "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni"...
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