28 dicembre 2013

In Trance

Quanto è bello viaggiare all'interno della nostra mente e intrufolarci nei nostri ricordi o in quelli di qualcun altro, manipolare, plasmare e condizionare le persone a seconda di ogni nostro capriccio. No, non stiamo parlando di Inception, che sicuramente ha dato una involontaria spinta a questo film, ma del suo fratello gemello, ovvero In Trance, diretto dal geniale (magari a tratti sopravvalutato, certo, ma tale resta) Danny Boyle. Il film narra la semplice storia di un furto di un quadro andato male, il quale poi verrà smarrito da Simon, il protagonista, che si dimenticherà il posto in cui l'ha nascosto. Così i suoi boss lo obbligheranno a fare sedute ipnotiche per recuperare la memoria e risalire all'ubicazione del tanto agognato oggetto.
Boyle affonda le radici di questo film nella contemporaneità e preferisce prendere una scienza moderna come l'ipnosi anziché inventarsi innesti vari per stupire lo spettatore. Dalla realtà alla mente di Simon il passo è breve: a prestare il volto al protagonista troviamo il bravo James McAvoy, che si lascerà ipnotizzare da Rosario Dawson per accontentare l'avido Vincent Cassell, in un continuo viaggio tra passato e presente, reale e immaginario, finto e vero che ha l'unico difetto di sfuggire a tratti dalle mani del regista e di disorientare troppo lo spettatore, confondendolo eccessivamente. Tuttavia la messa in scena di Boyle è più che pregevole e la voglia di arrivare fino alla fine e di scoprire l'inganno che si cela dietro tutta questa affascinante macchinazione non cala mai. Peccato però che, appunto, la suddetta sia un po' troppo artificiosa e faccia perdere lo spettatore all'interno del film, nascondendo abilmente dettagli importanti per svelarli solo al momento opportuno. Ma questo, si sa, è il gioco del thriller dai tempi della sua nascita, tuttavia qui si sfrutta troppo spesso l'effetto sorpresa e ad un certo punto il pubblico non è più interessato ad indovinare il colpevole o ad intuire la verità, ma si lascia trasportare dagli eventi convinto che ben presto il regista snocciolerà la soluzione della matassa al momento opportuno. Questo farsi coccolare dalla narrazione viene comunque reso efficace da una regia ottima, da personaggi spaesati tanto quanto chi guarda, dalle precise musiche di Rick Smith, dalla sensazionale fotografia di Anthony Dod Mantle e, ultimo ma più importante di tutti, dal minuzioso e dettagliato montaggio organizzato da Jon Harris, il quale orchestra una macchina a orologeria perfetta e sempre al servizio dell'idea base del regista: nascondere le prove per mostrarle un poco alla volta. Tecnicamente, dunque, non lo si può attaccare troppo, resta solo da vedere se il vostro istinto da spettatore è assetato di intrecci ingarbugliati, di storie di vendetta e di thriller polizieschi ben orchestrati. In molti hanno fatto presto a parlare male di questo film, ma alla fin fine rimane comunque un prodotto intelligente per quanto riguarda la messa in scena e credibile dal punto di vista della storia (scritta da Joe Ahearne e Joe Hodge) con qualche momento davvero formidabile. Consigliato a chi ama le storie di crimine con un contorno romantico, ma completamente fuori dal comune.


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