Il bello, biondo e simpatico inglese James Hunt è protagonista di questo biopic assieme al brutto, sgradevole ed asociale austriaco Niki Lauda. Il bel Hunt è però un semplicione e non ha una vita privata felice, il "topo" Lauda invece ha pochi affetti ma concreti e fidati. Due facce della stessa medaglia, due simboli diversi e assonanti della differenza tra ciò che si è e ciò che si appare. Che cosa c'è di più Hollywoodiano di questo tema? Il premio Oscar Ron Howard decide di dare vita ad una storia realmente accaduta restando il più fedele possibile agli eventi e cercando di dare la stessa forza ad entrambe le voci dei due protagonisti, prendendo spunto da un evento successo veramente che sembra fatto apposta per il grande schermo. Chris Hemsworth è James Hunt, Daniel Bruhl è Niki Lauda: due attori che riescono ad offrire delle straordinarie performance (più Bruhl che Hemsworth, quest'ultimo lievemente oscurato dall'essere già troppo sfruttato nel ruolo di "bello e impossibile") e che si sposano perfettamente con i ruoli anche a livello estetico, quasi come se fossero gli stessi Hunt e Lauda a interagire sullo schermo.
Se però da un lato Howard cerca di fare un film super partes, dall'altro è ben chiaro per quale pilota il regista faccia il tifo: Lauda ha più importanza scenica, ha un viaggio pieno di cambiamenti interiori ed è il narratore principale della storia. Questa presa di posizione da parte di Howard rende la precedente decisione di tentare di essere super partes (inserendo addirittura due voci fuori campo) lievemente incoerente, disorientando lo spettatore che vorrebbe capire come mai, se queste due figure vengono raccontate in maniera identica, ad un certo punto Hunt perda importanza a favore di Lauda (forse per il terribile incidente, forse per la forza di volontà più marcata, ma di fatto è così). Si viene disorientati anche dal montaggio di Daniel P. Hanley e Mike Hill, a tratti troppo serrato e confusionario nelle scene ambientate nei vari circuiti automobilistici, il quale rende quelle sequenze caotiche al punto giusto esagerando però qui e là con l'alternanza di inquadrature, costruendo in una prima parte delle gare da guardare in maniera distaccata e lasciando che lo spettatore entri nelle monoposto assieme ai piloti solo alla fine, nell'ultimo grande e decisivo duello. Nota di merito però alle incisive scene intime che enfatizzano la forza di volontà di Niki Lauda (soprattutto quelle in ospedale, realizzate con estremo realismo e sconvolgente crudezza) e la frustrazione di James Hunt (sempre troppo poco sotto i riflettori per un film che vuole essere imparziale). La scelta di Howard di non strafare in nulla (nelle emozioni in particolare, evitando il racconto melenso e la classica storia stucchevole, merito questo anche dello sceneggiatore Peter Morgan) rende il film più interessante, il quale ha come punto più alto la sensazionale fotografia di Anthony Don Mandle, che deve dare il meglio di sé negli interni con migliaia di location diverse e negli esterni con migliaia di condizioni climatiche differenti. Stessa cosa non può dirsi delle musiche di Hans Zimmer che, nonostante decida di abbandonare i tanto acclamati (e copiati da tutti) tamburi dei suoi cinecomics, fa il suo solito lavoretto che non dà nulla di nuovo a livello musicale ma che accompagna bene le immagini di Howard. In conclusione Rush è un blockbuster ben confezionato che appassionerà gli amanti della Formula Uno (i quali godranno del realismo pregnante del film) e che potrebbe lasciare qualcosa anche a chi di automobili non è per nulla interessato.
Ron Howard non mi ha mai entusiasmato, e l'interesse verso questo film scema mano a mano che passa il tempo... la tua recensione sembra confermare tutti i miei sospetti
RispondiEliminaA me non ha lasciato nulla, al di là della buona tecnica. Ma è roba canonica, eh. Cioè non è di certo un film che non si vede tutti i giorni. Sopra la media mensile, per carità, e qualche nomination se la accaparrerà sicuramente.
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