Io odio i vampiri dice Nomak alle telecamere di sorveglianza mentre uccide due succhia-sangue in una maniera molto simile al loro modo di cacciare. Si conclude così la prima sequenza di Blade II, sequel che riporta ancora una volta sul grande schermo il personaggio marvelliano del Diurno, mezzo vampiro e mezzo essere umano, con tutti i pregi delle creature della notte e nessuno dei loro difetti, impersonato ancora una volta da Wesley Snipes. Una sequenza che non vede come principale protagonista l'effettivo personaggio che dà il nome alla pellicola quanto il suo nemico di turno: un esperimento genetico con intenzioni ostili sia nei confronti dei vampiri che degli esseri umani; questa scelta la dice lunga sul viaggio che ha intenzione di percorrere Guillermo Del Toro su uno script di David S. Goyer (ma è più che sicuro che il buon messicano ci ha messo le mani, tanto è perfetto il ritmo e il posizionamento delle sorprese all'interno del film), un viaggio interamente incentrato su Nomak, un villain costruito sulle fattezze di Luke Goss che incarna tutte le tematiche care a Del Toro.
In particolar modo i travagliati rapporti padre-figlio, presenti ovunque nella filmografia dell'autore, rendono questo personaggio così interessante e tormentato, ma in lui sono presenti anche tutti gli altri elementi essenziali della cinematografia del regista: vive nel sottosuolo assieme ai suoi cloni (come la colonia di Mimic), è una evoluzione del vampiro, un suo miglioramento, una mutazione più efficace e resistente (qualcuno ha detto Kaiju? Ma pensate ancora una volta a Mimic, all'adattamento per sopravvivere, citato più volte in tutti i suoi film), ma è anche un esperimento genetico sfuggito al controllo (la scienza che non riesce a controllare le sue scoperte e a causa di cui si scatenano terribili eventi, tutto questo non vi ricorda l'interconnessione tra cervello umano e cervello Kaiju di Pacific Rim?) e, soprattutto, è un mostro che cerca comprensione e accettazione, un ibrido a metà tra l'uomo e il vampiro, ma nessuno di questi due (la stessa protagonista de Il Labirinto del Fauno era una donna tra due mondi, la figlia acquisita di un terribile militare in uno e la principessa di un regno fantastico nell'altro). Non ci interessa niente di quanto Blade sia bravo a cacciare i vampiri, e sappiamo già che Kris Kristofferson, o Whistler, tornerà sano come un pesce per dare una mano al Diurno fino alla fine del film, e non ci importa nulla della cornice romantica tra il protagonista e Leonor Varela, tutto questo contorno serve a Del Toro per giocare e divertirsi assieme allo spettatore, facendo fare a Blade lo spaccone che è e inserendo sequenze d'azione rigorosamente ben dirette e battute da bullo esagerate tanto quanto il contesto fumettistico attorno a cui la storia ruota. Gabriel Beristain alla fotografia e il buon Marco Beltrami alle musiche fanno il resto, confezionando un ottimo prodotto d'intrattenimento ben ritmato dal montaggio di Peter Amundson. Ma tutto questo è superfluo, ciò che conta è Nomak, la chiave di lettura importante del film, il personaggio più interessante di tutta la storia, il portatore delle tematiche tanto care a Del Toro ancora una volta riproposte in maniera diversa e originale. Senza Nomak, l'esperimento genetico che evolve il vampiro a specie ancora più perfetta ma privato dell'amore paterno e relegato al sottosuolo urbano, Blade II sarebbe solamente un altro film di vampiri.
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