2 marzo 2013

Gambit

Simpatico quadretto umoristico che unisce un ottimo cast ad una interessante regia, questo remake dell'omonimo film del 1981 di Ronald Neame risulta un divertente prodotto d'intrattenimento dove troviamo ben più di un paio di scene con qualcosa da dire. Diretto da Michael Hoffman, questa nuova versione della trama si avvale non solo della presenza di grandi star pronte ad interpretare i ruoli dei personaggi principali, ma anche della scrittura di due mostri della regia e della sceneggiatura, ovvero Joel Coen e suo fratello Ethan Coen, che offrono un loro script all'autore di questa commedia per regalarci un prodotto non esente da difetti ma comunque particolarmente interessante. Protagonista della storia è Colin Firth che impersona un irriverente e toccato dipendente del folle ed egocentrico Alan Rickman, obiettivo principale del furto messo in atto da Firth e dalla sua temporanea partner Cameron Diaz. Insieme i tre mettono in scena un perfetto esempio di ottima scrittura al servizio degli attori che riescono ad entrare nei loro personaggi senza fatica, offrendo interpretazioni davvero comiche anche se a tratti un po' troppo esagerate.
Assieme a loro non possiamo dimenticare l'istrionico Stanley Tucci e il breve ma meraviglioso cammeo di Cloris Leachman (una delle collaboratrici d'eccezione del grande Mel Brooks). La regia di Hoffman lascia che siano i personaggi e lo script dei Coen a narrare la storia, limitandosi a mettere in scena ciò che qualcun altro ha scritto e recitato, restando quindi piuttosto insipida e quasi mai particolarmente virtuosa; questo però non è un eccessivo difetto, soprattutto perché ciò che muove le fila di tutto questo è il già citato plot steso in sceneggiatura dai due ottimi autori chiamati in causa già troppe volte, che però non riescono a dare il meglio di loro in questo altalenante progetto nel quale troviamo un primo attimo eccessivamente descrittivo a favore di un secondo gioiosamente esilarante e di una parte finale piuttosto scontata ma comunque efficace. Meravigliose e reminiscenti le musiche di Rolfe Kent, che si rifanno alle care vecchie commedie delle quali La Pantera Rosa è il più chiaro esponente, con le loro note allo stesso tempo divertenti e intriganti, misteriose e spassose, che servono sia da interludio orecchiabile che da componente introduttiva a ciò che accadrà poco dopo. La fotografia di Florian Ballahus segue generalmente la stessa scelta registica di Hoffman, ovvero lasciare che sia lo script a mantenere salda la componente del film più importante, quella dell'intrattenimento, limitandosi a mettere in scena ciò che è raccontato da altri in maniera neutra ma allo stesso tempo citazionista. Discorso che vale anche per il montaggio Paul Tothill, che rispetta i tempi comici e lascia il giusto spazio a campi e controcampi degli attori, facendo in modo che anche le buffe espressioni messe in atto durante le riprese abbiano il loro più che meritato momento di gloria, unendo quindi il divertimento derivato dalla battuta a quello permesso da ciò che fanno gli attori sul set. Ciò che funziona al meglio è infatti l'alchimia che si crea tra i protagonisti e i co-protagonisti, la quale inserisce ogni personaggio pensando bene di cercare di evitare la perdita del realismo che racchiude tutta la pellicola. Non certo la migliore commedia dell'anno e nemmeno all'altezza di altri lavori dello stesso genere come Carnage di Roman Polanski, ma togliendo qualche piccolo calo di stile il film risulta alla fin fine un buonissimo intrattenimento realizzato da professionisti del cinema capace di strappare più di qualche risata e di farvi alzare dalla poltrona piuttosto soddisfatti, anche se non in maniera completa.


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