C’è chi dice che Hollywood sia ormai una fabbrica di kolossal,
invasa soprattutto da supereroi che diventano realtà, da fumetti che si
trasformano in metri e metri di pellicola e di idee trite e ritrite. Se questo
è il cinema americano, come definire allora quello italiano? Stereotipato,
insulso, risibile, affascinante, monotono? Chi lo sa quale sia l’aggettivo
giusto per definirlo. Chi lo sa se effettivamente c’è un
aggettivo per definire tutto il cinema italiano. Certo è che, se il fenomeno
sociologico americano è il cinecomic, in Italia abbiamo un altro richiamo di
massa che risuona come campanellino da probabile buon incasso: la televisione.
Sono tanti e incredibilmente diversi i personaggi che, prima di approdare sul
grande schermo, fecero la loro gavetta in televisione. Ricordiamo il caso
Checco Zalone con i suoi due film Cado dalle nubi e Che bella giornata, oppure
il trio Aldo, Giovanni e Giacomo.
Ci hanno provato anche Ale & Franz e
Ficarra e Picone, questi ultimi con un risultato più soddisfacente rispetto al
duo milanese. Ora tocca al genovese Giovanni Vernia, in arte Johnny Grove,
co-regista assieme a Paolo Uzzi del film che lo vede doppiamente protagonista
in una storia non propriamente originale. Scritto da Michele Pellegrini, Francesca Cenni, Paolo Uzzi e
lo stesso Vernia, Ti stimo fratello è un film incerto sotto tutti i punti di
vista. Non si capisce bene dove finisca Giovanni e dove cominci Johnny, poiché
l’attore tenta al meglio di diversificarli, ma alla fine si capisce comunque
che sono la stessa persona (lo stesso Vernia ha definito entrambi i personaggi
“autobiografici”). Alcune gag sono davvero divertenti, ma spesso la comicità
non punge in maniera così forte e dirompente come dovrebbe, forse perché i
tempi comici sono un po’ troppo lenti. Tuttavia ci si diverte qua e là,
soprattutto grazie ad un Diego Abatantuono che rimpiazza il Claudio Bisio di Zelig come mediatore
tra Johnny e il pubblico, e
anche con la stupidissima Susy Laude, che fa a gara con il gemello discotecaro
del fidanzato tra chi è più stupido, se lei o lui. E forse questa la vera pecca
del film, ovvero lasciare che i personaggi di contorno rubino la scena al
protagonista, facendolo risultare molto spesso una macchietta con ben poco da
dire, oltre ai classici, super citati tormentoni che si conoscono dalla sua
prima apparizione su Canale 5. Ma il peccato più grande viene fatto quando,
riempiendo il film di tanta critica sociale, non si riesce a sfruttare nemmeno
uno di questi temi, riducendo le tante citate piaghe della società ad inutili
gag che a volte fanno sorridere e a volte no, ma che non fanno mai riflettere.
Fastidioso anche l’intro descritta dalla voce fuori campo di Vernia, priva di
pathos o di una voce invitante. Ultimo, ma non più importante (passatemi la
licenza poetica), il forzato happy ending con tanto di battuta-clou a fine
sequenza, scontata e troppo riutilizzata per fare ridere ancora una volta. Ecco che, quindi, Ti stimo fratello è un film incerto,
poiché sfrutta in maniera interessante alcuni temi ma non riesce a centrare mai
il bersaglio, sia esso il puro divertimento privo di riflessione oppure
qualcosa di più. I fan del personaggio
rimarranno comunque soddisfatti, perché rivedere un proprio “idolo” (se così si
può chiamare) fa sempre molto piacere, soprattutto quando a questo gli viene
offerto uno spazio molto più vasto dei brevissimi 10 minuti di sketch
televisivo. Tuttavia, l’altra fetta di pubblico rimarrà delusa,
se fosse stata una commedia per il puro e semplice divertimento
collettivo, ne avremo riso tutti un po’ di più.
Non l'h mai sopportato questo personaggio. Ma mi viene davvero inconcepibile che molte persone, nel vederlo in tv, lo prendano addirittura come un modello da imitare.
RispondiEliminaEh, sì, è un vero e proprio DISASTVO!!! NUOOOO! TROLLOLOL
EliminaNo, seriamente, chi è che lo prende come modello da imitare?
EliminaPiù che altro è nato per parodizzare certi truzzetti discotecari, e guardacaso quelli sono i primi a consumare film come questi. Poi va tenuto in conto che da quegli individui non si può pretendere chissà quale acume, ma da me ai tempi lo citavano in continuazione.
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