Dopo il turno di
Re Giorgio, con il vincitore del premio Oscar come Miglior Film Il Discorso del
Re (assieme ad altre 3 statuette), l’Inghilterra sforna un altro
film dedicato ad un interessantissimo e controverso personaggio anglosassone:
Margaret Thatcher, la lady di ferro che è riuscita a governare per 11 anni il
suo paese nel ruolo di Primo Ministro. Con The Iron Lady la regista
Phyllida Lloyd porta sul grande schermo un film interessante e pieno di spunti
di riflessione. Molto spesso quando si punta sul cinema inglese si fa centro, e
anche questa volta l’isola al di sopra della manica non delude.
Certo, non ci
troviamo ai livelli stratosferici e cinematograficamente magnifici de Il
Discorso del Re, ma questa pellicola ha anch’essa i suoi pregi. La prima cosa che si apprezza è
il fatto che non si scivola in una narrazione troppo scontata giocata sulla
voce fuori campo e sul racconto biografico: lo spettatore scopre lentamente
pregi e difetti della protagonista in maniera lineare, raccontati proprio nei
momenti di non lucidità di Margareth. Questo fa in modo che la pellicola possa
portare avanti due storie contemporaneamente: quella del passato e quella del
presente del personaggio (quest’ultima resa più interessante dall’introduzione
degli spettri che la angosciano e che le impediscono di andare avanti con la
sua vita). Altrettanto intrigante è la
semplicità con cui la storia viene raccontata, presentandoci all’inizio una
donna qualsiasi che si lamenta dell’aumento dei prezzi e mostrandoci, solo in
un secondo momento, la stessa donna che a suo tempo ha lottato per cose come
questa. E’ la semplicità ad unire tutti i punti della trama dall’inizio alla
fine. La stessa semplicità che gioca a
favore del film ha però un lato negativo: trattando la storia inglese allo
stesso modo in cui tratta quella personale della Thatcher, la pellicola non
aggiunge niente di nuovo per chi già conosce gli avvenimenti di quel periodo
storico. E’ altresì vero che la narrazione storica non è l’obiettivo principale
di The Iron Lady. L’aspetto registico, inoltre,
aggiunge una piacevole sottolineatura ai momenti più importanti del film: la Primo Ministro che lentamente
si distanzia dai suoi colleghi, la stessa donna che poco dopo verrà
inquadrata come una maestrina di scuola elementare che corregge i compiti dei
propri “studenti”, mettendoli anche in punizione. Insomma, Phyllida Lloyd gioca
in maniera semplice con la telecamera, per dimostrare che anche la donna di
ferro ha fatto i suoi sbagli, ma che siamo comunque tutti umani (ecco spiegato,
quindi, il perché di così tanto lato personale nel corso del film). Qualche
piccola sbavatura c’è ancora, come ad esempio dei movimenti di camera a mano
eccessivamente veloci e confusionari, che hanno comunque il loro perché ma che
risultano leggermente fastidiosi. Dulcis in fundo, Meryl Streep:
non dovrebbe più stupire quanto sia poliedrica questa donna, che si muove da
commedie come Il Diavolo Veste Prada a musical come Mamma Mia! ( quest'ultimo sempre della
Lloyd) fino a queste pellicole impegnate ed emotivamente complesse per un attrice. La Streep ha dimostrato per
l’ennesima volta di essere capace di trainare un film anche da sola (senza
sminuire il lavoro di tutti gli altri attori) e che la vittoria dell’Oscar e del Golden Globe non derivano solo dal lavoro di make up che l’ha
resa praticamente identica alla vera Thatcher.
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