1 dicembre 2012

Blood Story


Spesso i remake e i reboot non si limitano a riesumare le vecchie glorie del cinema di un tempo per dar loro nuova linfa e nuova struttura, riportandole al loro originale splendore. A volte può capitare anche di imbattersi in un film vecchio di un lustro o due e di trovare al cinema il suo rifacimento. Ne abbiamo avuto un esempio con l’ultimo lavoro di David Fincher Millennium - Uomini che odiano le donne. La stessa cosa vale per la pellicola Blood Story. Diretto da Matt Reeves, il film non è altro che il remake americano ufficiale di Lasciami Entrare, pellicola del talentuoso Tomas Alfredson (autore de La talpa) e successo di critica e pubblico. Reeves, alla sua seconda opera cinematografica, si dimostra ancora una volta un valido regista pieno di risorse, capace non solo di riuscire a rendere il suo progetto originale rispetto al prototipo, ma di tenere testa perfino alla casa di produzione nonostante la sua filmografia sia pressoché povera.
I produttori volevano infatti aumentare l’età dei due protagonisti, trasformandoli in due teen-ager per poter attirare una fetta maggiore di pubblico in sala, ma Matt si è imposto ed ha voluto assolutamente che i due rimanessero dodicenni, a favore di una storia che altrimenti sarebbe crollata come un castello di carte. L’aspetto più interessante è sicuramente la leggera atemporalità della narrazione, che comincia in medias res per poi ritornare indietro per i primi 40 minuti di film, anticipando il turning point rispetto al momento preciso in cui avverrà e creando nel pubblico ancora più suspense e curiosità. Ma anche questa bella idea ha un lato negativo, ovvero quello di essere il solo salto temporale durante tutto il film, storcendo lievemente la percezione dello spettatore, senza essere però eccessivamente fuori luogo. Dal film di Alfredson, Reeves recupera anche le atmosfere fredde, cupe e morte che impregnano la pellicola in maniera totale e completa, aggiungendo però qualche momento di horror e azione che non guasta, soprattutto per un prodotto americano. Inoltre inserisce frequenti dolly e movimenti alquanto leggeri di macchina, capaci di indagare ancora meglio i tratti più enigmatici dei personaggi, che sono il fulcro della pellicola. Blood Story infatti è una storia di rapporti, di mistero, di lati oscuri e di affetti veri e propri, concentrato molto sui suoi protagonisti e un po’ meno su ciò che li circonda. Fattore che volge a favore di questa scelta è sicuramente il fantastico cast, nel quale spicca la stella nascente Chloe Moretz, che porta sullo schermo una piccola vampira tormentata e depressa, al fianco dell’altrettanto intrigante Kodi Smith McPhee, capace di rielaborare il suo personaggio raccontandolo sotto tutti i punti di vista. Forse il vero punto debole della pellicola è la trasformazione fisica della Moretz in vampiro, nella quale si nota eccessivamente l’uso della CGI negli occhi e nella pelle, che stona con il tono freddo e realista che pervade il film. Uno sguardo maligno e assetato di sangue da parte della bambina verso l’amico sarebbe stato più che sufficiente, forse anche più spaventoso.


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