Spesso i remake e i reboot non si
limitano a riesumare le vecchie glorie del cinema di un tempo per dar loro
nuova linfa e nuova struttura, riportandole al loro originale splendore. A
volte può capitare anche di imbattersi in un film vecchio di un lustro o due e
di trovare al cinema il suo rifacimento. Ne abbiamo avuto un esempio con
l’ultimo lavoro di David Fincher Millennium
- Uomini che odiano le donne. La stessa cosa vale per la pellicola Blood Story. Diretto da Matt Reeves, il film non è altro che il remake
americano ufficiale di Lasciami Entrare,
pellicola del talentuoso Tomas Alfredson (autore de La talpa) e successo di critica e pubblico. Reeves, alla sua
seconda opera cinematografica, si dimostra ancora una volta un valido regista pieno
di risorse, capace non solo di riuscire a rendere il suo progetto originale
rispetto al prototipo, ma di tenere testa perfino alla casa di produzione
nonostante la sua filmografia sia pressoché povera.
I produttori volevano
infatti aumentare l’età dei due protagonisti, trasformandoli in due teen-ager
per poter attirare una fetta maggiore di pubblico in sala, ma Matt si è imposto
ed ha voluto assolutamente che i due rimanessero dodicenni, a favore di una
storia che altrimenti sarebbe crollata come un castello di carte. L’aspetto più
interessante è sicuramente la leggera atemporalità della narrazione, che
comincia in medias res per poi ritornare indietro per i primi 40 minuti di
film, anticipando il turning point rispetto al momento preciso in cui avverrà e
creando nel pubblico ancora più suspense e curiosità. Ma anche questa bella
idea ha un lato negativo, ovvero quello di essere il solo salto temporale durante
tutto il film, storcendo lievemente la percezione dello spettatore, senza
essere però eccessivamente fuori luogo. Dal film di Alfredson, Reeves recupera
anche le atmosfere fredde, cupe e morte che impregnano la pellicola in maniera
totale e completa, aggiungendo però qualche momento di horror e azione che non
guasta, soprattutto per un prodotto americano. Inoltre inserisce frequenti
dolly e movimenti alquanto leggeri di macchina, capaci di indagare ancora
meglio i tratti più enigmatici dei personaggi, che sono il fulcro della
pellicola. Blood Story infatti è una
storia di rapporti, di mistero, di lati oscuri e di affetti veri e propri,
concentrato molto sui suoi protagonisti e un po’ meno su ciò che li circonda.
Fattore che volge a favore di questa scelta è sicuramente il fantastico cast,
nel quale spicca la stella nascente Chloe Moretz, che porta sullo schermo una piccola vampira tormentata e depressa,
al fianco dell’altrettanto intrigante Kodi Smith McPhee, capace di rielaborare il suo
personaggio raccontandolo sotto tutti i punti di vista. Forse il vero punto
debole della pellicola è la trasformazione fisica della Moretz in vampiro,
nella quale si nota eccessivamente l’uso della CGI negli occhi e nella pelle,
che stona con il tono freddo e realista che pervade il film. Uno sguardo
maligno e assetato di sangue da parte della bambina verso l’amico sarebbe stato
più che sufficiente, forse anche più spaventoso.
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