6 dicembre 2014

Tartarughe Ninja

Alla fine ci provi e li guardi, decidi di dar loro una possibilità, perché in fondo anche questi film che sono dei prodotti di marketing annunciati a gran voce hanno bisogno di una chance, e invece, come il più delle volte, ti ritrovi lì ad aspettare annoiato la fine della pellicola che speri arrivi il più presto possibile, tant'è che ti stupisci che il film non duri più dell'ora e mezza e rientri nei canoni del semplice blockbuster d'intrattenimento. Come si fa, poi, a farsi venire la voglia di sparare a zero sul nuovo Tartarughe Ninja, che di nuovo ha solo il lato migliore di Megan Fox e il design di quattro tartarughe con un look più realistico, più digitale degli ormai iconici costumi in lattice degli anni '90, quegli intramontabili pupazzoni che erano dichiaratamente finti e per nulla credibili, ma che ci facevano divertire (forse anche di più) di queste nuove tecnologie ormai per nulla stupefacenti. C'è ben poco da dire sulla storia del film, il quale ricalca, anche se non fedelmente - probabilmente proprio per cercare uno spiraglio che faccia discutere il pubblico - la popolare storia delle tartarughe chiamate come i pittori rinascimentali italiani e ghiotte di pizza, cresciute in una fogna da un topo ninja, le quali devono sconfiggere il terribile clan del piede (nome chiamato in causa almeno quaranta volte solo nei primi venti minuti di film, per poi sparire per sempre e trasformarsi in Shredder nel secondo tempo) che minaccia la città di New York.
Il male contro il bene, i mostri che in realtà sono i buoni, il lato B della Fox e tutta quella filosofia spicciola che può esserci in un film prodotto, tra gli altri, da Michael Bay e firmato alla regia da quel Jonathan Liebesman che ultimamente si è sempre più distinto per il suo stile completamente anonimo, canonico e in linea con i prodotti che Hollywood ama sfornare sempre più spesso, ovvero quelli dall'incasso facile e dalle riflessione pressoché inesistente. Alla fine, però, non si ha nemmeno più la voglia di fare le pulci a certe pellicole, che non riescono ad attecchire su un pubblico di giovani e che parlano esclusivamente a quegli spettatori nostalgici che con le tartarughe ci sono cresciuti negli anni novanta di cui sopra, ai quali va bene qualunque cosa purché il loro brand preferito non muoia. E allora sì, tornano le tartarughe perché il bacino d'utenza è più ampio e non tornano gli Street Sharks (almeno per il momento) solo perché i fan sono meno, a livello numerico, e Hollywood che ragiona ormai per quantità e per accumulo capisce subito che il prodotto può funzionare se proposto in un certo modo. Così quel paio di rinnovamenti per giustificare le frasi promozionali tipo "delle tartarughe così non le avete mai viste", che risultano comunque delle frasi false perché delle tartarughe così le abbiamo viste eccome: sono sempre le classiche quattro tartarughe newyorkesi, con il loro background, la loro personalità e le loro armi, con un paio di gadget in più e qualche sprazzo d'emozione in aggiunta che non guasta mai (Raffaello che piange tocca il cuore di tutti, no? No. Almeno non il mio, probabilmente a causa di tutto quello che accade nei precedenti ottanta e passa minuti di cui non me ne può fregare di meno). Ma non basta l'armatura hi-tech di Shredder, la nuova computer grafica che caratterizza i protagonisti, qualche citazione a Batman e alla cultura pop e, torno a ripetermi, Megan Fox affinché una pellicola possa colpire, nonostante provi in tutti i modi a toccare quelle stesse corde emotive che, con quegli stessi personaggi, nella mia infanzia, hanno vibrato. E parecchio.

2 commenti:

  1. Ma la Fox non era quella che diceva che non avrebbe mai più lavorato con Bay perché era uno stronzo e la trattava da cagna?

    Comunque sarò stronzo e prevenuto, ma certi film non li guardo proprio, se non dopo anni in cassetta con gli amici

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