19 marzo 2013

Hellboy

Quando il blockbuster che segue la moda del momento incontra l'arte più pura. Dopo Tim Burton, Sam Raimi, Bryan Singer ed autori più spesso sulla bocca di tutti come Christopher Nolan, Jon Favreau e Matthew Vaughn, anche Guillermo Del Toro dirige il suo cinefumetto moderno, dopo esserci passato qualche anno prima già con Blade II, dove era stato chiamato a tappare le falle create nel primo capitolo da uno Stephen Norrington esperto solo a metà. Con Hellboy il processo è ben diverso, perché il regista assiste alla nascita della saga cinematografica del supereroe creato da Mike Mignola, apportando il suo personale stile già dal primo capitolo, incanalando la sua idea della storia verso una direzione ironica della narrazione, evitando sequenze drammatiche fuorvianti o momenti tragici fuori luogo.
Scritta dallo stesso Del Toro aiutato in faso di soggetto da Peter Briggs, la sceneggiatura si muove attraverso scene d'azione ottime grazie ai sinuosi movimenti di macchina e sequenze descrittive che non annoiano mai costruite attorno ai personaggi e ai loro rapporti, rese interessanti e divertenti con dialoghi sempre spigliati, in particolare quelli messi in bocca al protagonista interpretato da Ron Perlman che non si risparmia battute a volte anche un po' scontate sostenute sempre da una performance caratteristica. Il ritmo di tutto ciò è però altalenante e il risultato è efficace e coinvolgente, ma lievemente già visto nonostante il montaggio di Peter Amudson doni un notevole respiro epico alle scene drammatiche e uno spigliato movimento a quelle d'azione e la fotografia di Guillermo Navarro illumini il tutto al meglio. Degne di nota sono anche le musiche del sempre valido Marco Beltrami, che lavorano a braccetto con lo script di Del Toro al fine di offrire un intrattenimento coinvolgente ad un pubblico che non vede l'ora di divertirsi con personaggi scritti bene e interpretati ancora meglio, tra gli altri Jeffrey Tambor nel ruolo di Manning e il mostro per metà pesce Abe Sapien impersonato da un eccezionale Doug Jones. Tornano anche in questo film i temi più importanti della filmografia di Del Toro, come la presenza di un bambino (questa volta in un ruolo secondario anziché protagonista come in alcuni suoi film) o almeno una sequenza girata nei sotterranei (in Mimic era il luogo principale dell'azione, ma in ogni suo film è presente un mondo sotto quello reale pieno di misteri e di pericoli sconosciuti), che comunque riescono a fare in modo che il pubblico possa attribuire questa pellicola al suo autore e che non sia una delle tante trasposizioni fumettistiche che si trovano ogni mese al cinema. Il risultato è soddisfacente, ma col senno di poi l'autore ha sempre dato il meglio di sé con i seguiti delle pellicole. Se si cita ancora una volta Blade II, ad esempio, è chiaro quanto questo sia nettamente superiore al suo prototipo diretto da Norrington, ma anche Il labirinto del fauno è migliore de La spina del diavolo, se si pensa a questi due film come ad un dittico che ha come filo conduttore non solo la fanciullezza, ma anche il contesto storico, poiché entrambi sono ambientati nel periodo della Guerra Civile Spagnola (si vociferava di una trilogia, tempo fa, ancora non conclusa). Allo stesso modo Hellboy - The Golden Army supererà per qualità questo primo film, poiché Del Toro abbandonerà il progetto fumettistico e creerà una sceneggiatura interamente inventata da lui, lasciando che il suo estro creativo sovrasti l'opera di Mignola e faccia propri questi personaggi.


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