22 novembre 2013

Venere in Pelliccia

A tutti quelli che dicono che con l'avanzare dell'età si perde lo smalto e la freschezza tipica dei primi anni di lavoro contraddistinti da una frenetica passione giovanile io rispondo con un nome solo: Roman Polanski. Questo signore, a 80 anni, è ancora in grado di proporre al pubblico lavori originali ed esperimenti curiosi, riuscendo anche a raggiungere vette qualitativamente alte per quanto riguarda la riuscita complessiva del prodotto. Questa volta Polanski tenta per la prima volta di mettere in scena una commedia con due soli personaggi in un solo set, sua moglie Emmanuelle Seigner e il suo sosia Mathieu Amalric all'interno di un teatro. Emmanuelle è l'attrice Vanda e il personaggio Wanda, ma anche Venere, il forte Severin, una baccante, una spia, una psicanalista. Mathieu è Thomas, l'adattatore della piéce, ma anche l'autore dell'opera, il debole Severin, l'insicura Wanda, un attore, un paziente, un sospettato.
Due protagonisti, ma una miriade di personaggi e di personalità, con due varianti predominanti: una debole e sottomessa e l'altra forte e autoritaria, quasi a sottolineare che la donna è sempre (stata) in una posizione di potere rispetto all'uomo e che quest'ultimo sia incondizionatamente sottomesso dalla sua bellezza e dal desiderio che lo attanaglia. Polanski, oltre a dirigere, riadatta la sceneggiatura assieme a David Ives, l'autore del vero spettacolo teatrale che ha dato vita al film e a sua volta ispirato all'omonimo romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, stendendo una storia efficace e precisa, ricca di simbolismi sessuali e rimandi freudiani, (auto)ironica e analitica alla perfezione, soprattutto nei confronti dell'evoluzione della figura femminile nella società, vista dapprima come componente secondaria e poi, piano piano, sempre più forte e importante. Vanda e Wanda, Thomas e Severin, due vite diverse che lentamente si sfiorano tramite sguardi e cenni, fino a toccarsi dopo un tragicomico punto di non ritorno, quando ormai il cellulare (emblematico per Polanski, soprattutto nei suoi ultimi film) viene lanciato in platea e la realtà cessa di esistere; solo allora Wanda e Severin, o Vanda e Thomas, ormai è indifferente, possono toccarsi, stringersi e abbracciarsi. E Vanda poi trasforma Thomas in Wanda, proprio nel momento in cui il personaggio subisce un cambiamento e diventa debole rispetto a Severin, a sottolineare la mascolinità acquisita dalla figura femminile nella nostra contemporaneità e la femminilità (ri)trovata dal genere maschile. Così, impotente e legato ad un cactus dalla forma fallica, il povero Thomas viene stravolto assieme alle sue idee: E l'Onnipotente lo colpì e lo mise nelle mani di una donna, cita la pagina 0 della piéce e l'ultima scena del film; citazione duplice in un film che fa dell'ambiguità il suo muro portante, perché (almeno) due sono le vite dei personaggi, due sono i sessi e due sono le donne, Vanda e Wanda, nelle mani delle quali viene messo Thomas dall'Onnipotente (Venere) per essere punito per la sua arroganza e, da superbo altezzoso borghese, finirà sbeffeggiato da una baccante e legato ad un simbolo fallico. Unica pecca del film? Non è girato in piano sequenza: se Polanski avesse osato tanto avrebbe confezionato il suo capolavoro.


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