Dopo la sua piccola parentesi piratesca, Gore Verbinski si arrischia a tornare verso le acque che lo hanno visto affacciarsi al grande pubblico con Un topolino sotto sfratto, commedia per bambini (stesso punto di riferimento che ha questo film) tipica di un filone di quegli anni '90 sviluppato da Columbus. Questa volta però si focalizza sulla sua passione per il cinema e ne traccia dei lineamenti originali, affiancando il western al cinema d'animazione, ma una animazione originale e come vuole lui, talmente nelle sue corde da firmare un contratto con la neonata Nickelodeon pur di avere carta bianca sulla libertà artistica. Infatti Rango è forse il prodotto più personale e meno marchetta di questo autore che finora ha offerto buoni e meno buoni film d'intrattenimento sempre su commissione e che finalmente riesce a regalare al pubblico un'opera completamente originale con una tecnica mai sperimentata prima: prendere degli attori in carne e ossa e farli recitare tra loro davanti a una macchina da presa affinché gli animatori possano prendere ispirazione dalle movenze di questi e tracciarne i tratti caratteristici sui personaggi al computer.
No, non è la motion capture di Zemeckis e forse è un processo creativo che non farà il botto, tuttavia è una sorta di scelta davvero interessante perché lascia libertà artistica sia agli attori che ai disegnatori, portando al prodotto un'aria di novità e di realismo davvero interessante. Ottime le migliaia di citazioni ai numerosi cult del cinema americano e davvero geniale il montaggio di Craig Wood che riesce a donare un sapore classico ma allo stesso tempo adrenalinico e contemporaneo al film, anche grazie alle musiche dell'ormai onnipresente Hans Zimmer, entrambi fedeli collaboratori di Verbinski dai tempi di Pirati dei Caraibi, trilogia della quale questo Rango è un vero e proprio figlio. Da quella saga arrivano infatti anche Johnny Depp che presta le sue movenze al protagonista e il villain Jack Sonagli che prende forma grazie al corpo di Bill Nighy, che però non si vede portare sullo schermo i suoi veri occhi come è successo con Davy Jones, questa volta sostituiti da due sfere infernali che ricordano molto il grande occhio della trilogia de Il Signore degli Anelli. Detta così, però, sembra che il film viva di citazioni e rimandi, ma in realtà quest'ultima pellicola dell'autore (che tornerà poi a lavorare per la Disney ancora una volta assieme a Depp) è una differente ricerca di fare cinema e di raccontare una storia originale (scritta da John Logan) in una maniera altrettanto originale e ciò che salta fuori già dalle prime inquadrature è un sano divertimento sviluppatosi durante le riprese sui set che non ha fatto altro che giovare al risultato finale del prodotto. Senza dimenticare il messaggio metacinematografico inserito all'interno del contesto narrativo, giustificato da un camaleonte (non a caso) che "gioca" a fare l'eroe finché non si vede costretto a diventarlo per salvare gli abitanti di una cittadina oppressa da una minaccia della quale ancora non si conoscono le origini e che porta alla pellicola una critica nei confronti del capitalismo e dell'assetata ricerca di potere da non trascurare. Ma prima di essere questi due messaggi, Rango è cinema come quello che si faceva una volta, quello che tanto rimpiangiamo ai giorni nostri, quello sperimentale e sofferto, quello amato e rinomato. Non a caso ha vinto l'Oscar come Miglior Film d'Animazione.
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