25 aprile 2013

Primo Amore

Il cinema italiano ha subito in questi anni un declino artistico ormai sotto gli occhi di tutti, tuttavia esistono ancora quei tre o quattro attori che riescono a tenere alta la bandiera di un modo di fare cinema invidiato in tutto il mondo. Dopo queste poche scontate righe di introduzione, tuffiamoci senza indugi in una analisi un po' incoerente di quello che è Primo Amore, pellicola acclamata dalla critica italiana ma a mio modesto parare non priva di difetti. Si nota subito come Matteo Garrone abbia un suo personale e documentaristico approccio alla narrazione della storia, raccontando il film nella maniera più naturale possibile e lasciando che siano gli occhi, i volti e soprattutto l'espressività facciale degli attori a parlare, ovvero il quadrato e fin troppo autorevole Vittorio di Vitaliano Trevisan e la fragile e accondiscendente Sonia di Micaela Cescon, due personaggi incompatibili tra loro tra i quali però nasce una tormentata e corrosiva storia d'amore, aggettivi adatti più per Sonia che per Vittorio, padre padrone che impone alla sua ragazza di perdere peso.
Il lineare ed efficace legame tra la vita di coppia e quella lavorativa del protagonista convince lo spettatore, rendendo ancora più solida e spaventosa la psicologia malata di lui e debole e altrettanto pericolosa quella fragile di Sonia. Ad amalgamare il tutto al meglio ci pensa la fotografia di Marco Onorato, che mantiene sempre quel tocco realista, incutendo timore nell'animo di chi sta osservando la pellicola senza mai tralasciare qualche dettaglio di luce. Ottima la lungimiranza di Garrone nella scelta delle inquadrature, in particolare l'uso di determinate soggettive che servono ad enfatizzare ancora di più il potere manipolatore che Vittorio può sfruttare ai danni della sua fidanzata, e che rende ancora più macabra la narrazione visiva. Peccato però per una sceneggiatura, scritta dallo stesso Garrone assieme a Trevisan e a Massimo Gaudioso e ispirata al libro Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini che però soffre di un ritmo troppo lento, il quale non è comunque il problema più grave. Ciò che infastidisce è una certa ripetitività delle situazioni che portano una situazione di separazione netta del film in due parti: la prima in cui si conoscono i due personaggi e si imparano i rapporti tra loro due e i co-protagonisti, e la seconda dove la situazione degenera e non si riesce a vedere la luce in fondo al tunnel per la povera ragazza. Purtroppo, però, quest'ultima seconda parte viene raccontata in maniera ripetitiva, con azioni che si susseguono e si ripetono cambiando puntualmente location e orario del giorno in cui avvengono, ma che non aggiungono nulla di nuovo a quanto visto prima. Insomma, una pellicola che si sarebbe potuta raccontare in almeno una ventina di minuti in meno e che avrebbe offerto un impatto visivo e uno sconvolgimento emotivo molto più efficace. Comunque sia il film riesce ad offrire temi interessanti e risvolti piuttosto macabri, grazie anche ad un non forzato isolamento all'interno del quale è raccontata la storia dei due protagonisti. Nonostante qualche piccolo scivolamento nel ridondante e nel ripetitivo, c'è comunque una buona idea di fondo e un sapiente uso della macchina da presa che permette a questo film di regalare al pubblico qualcosa sul quale riflettere.


2 commenti:

  1. non mi è piaciuto particolarmente, ma hp trovato il risultato finale agghiacciante.
    Inoltre è una storia vera...

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    1. E' che ha troppi punti lenti per gridare "bravo"... Ma ha comunque dei momenti davvero forti e grotteschi.

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