Iconica figura non solo americana ma anche mondiale, il primo presidente Repubblicano della storia degli Stati Uniti d'America (il sedicesimo tra tutti) viene raccontato dall'occhio sapiente e metodico di un'altra icona d'oltreoceano: Steven Spielberg. Due mostri sacri della storia degli USA, contemporanea e non, si incontrano grazie alla valida sceneggiatura di un Tony Kushner in ottima forma, che si ispira al romanzo di Doris Kearns Goodwin per raccontare il suo Lincoln assieme ad uno Spielberg decisamente sottotono nella prima parte del film. La pellicola vive principalmente di strabilianti interpretazioni teatrali sulle quali regna incontrastato il lavoro svolto dalla profondità caratterizzante di Daniel Day-Lewis nei panni del presidente, seguito dalla ironica maestria di Tommy Lee Jones e dalla drammatica figura di Sally Field, assieme al resto del cast impossibile da citare tutto, all'interno del quale compare anche un Joseph Gordon-Levitt sempre più presente nel cinema americano. Sono i dialoghi tra i protagonisti, coloriti da simpatiche offese o riempiti da tecnicismi politici, a tirare avanti il pesante carro della prima parte assieme ai profondi monologhi di un presidente che voleva cambiare le cose in maniera radicale in America.
Al di là della fantastica fotografia di Janusz Kaminski e delle musiche mai deboli di John Williams, la prima parte manca di quel tocco che il Re Mida di Hollywood ci ha sempre regalato anche in pellicole come Schindler's List, probabilmente a causa di uno script difficile da gestire, che racconta solamente pochi ansiosi mesi della frenetica vita dello storico presidente. Mesi piuttosto pesanti da seguire per chi non è appassionato delle machiavelliche macchinazioni che la politica si porta dietro dagli albori indipendentemente dallo stato preso in esame. Sono infatti i momenti intimi con i propri familiari quelli che funzionano di più, sia che ci si concentri su Lincoln sia che ci si focalizzi invece su Thaddeus Stevens, ma non possiamo dire di non riconoscere l'originalità di Spielberg anche in questo film. La mano e l'occhio del regista americano spuntano fuori proprio alla fine, quando la parte politica è ormai conclusa e la luce in fondo al tunnel è stata raggiunta: Lincoln ci regala il suo discorso più eclatante montato in maniera simbolica con l'aiuto di Michael Kahn, in modo che tutta la parte finale sia più enfatica rispetto al resto del film. Spielberg si salva in calcio d'angolo, ma è comunque innegabile che il suo mettersi alla prova con una pellicola più teatrale che cinematografica sia un lavoro riuscito. Il risultato non è manchevole di qualità, ma è sicuramente inferiore ai tanti film di alto livello a cui il caro vecchio Steven ci ha sempre abituato, probabilmente perché non è uno script che si presta alla visione che il regista ha del mondo: è infatti un lavoro decisamente fuori dalle classiche corde di questo autore, che da sempre ci ha regalato prodotti ricchi di un cuore personale e quasi impossibile da replicare. Il cinema di Spielberg è un susseguirsi di sogni, speranze e desideri (da Incontri ravvicinati del terzo tipo fino a War Horse) e probabilmente un approccio così eccessivamente realistico e un'analisi così diretta della politica non è qualcosa che rientra nelle sue corde; i momenti più salienti sono infatti gli speranzosi e convincenti monologhi di Lincoln, i quali rispettano al 100% la poetica del regista. Un film forse troppo sopravvalutato dal patriottico pubblico americano, ma un film che comunque ha qualcosa da dire e che merita almeno un paio di visioni.
Io con Spielberg non so più cosa fare. Non so più come dirglielo che è stato bravo in un film come Schindler's List, che lo squalo (quando ero un bambino che aveva paura della sua ombra) mi ha fatto una paura che non ti dico, che "E.T." mi ha fatto uno schifo terribile (mi faceva senso sto alieno del Call Center "telefono casa, casa"), che "Salvate il soldato Ryan", mi ha impressionato nella scena dello sbarco, e basta. Per il resto ho guardato "Prova a prendermi" con DiCaprio e non mi era dispiaciuto. Io non so più come dirglielo. Con i mezzi che ha Spielberg, e se amasse davvero il cinema - perché non lo ama, non lo ama - e se fosse un po' meno patriottico, potrebbe realizzare film con la F maiuscola. Ho preferito Tarantino che con Django mi ha fatto vedere com'era veramente la schiavitù, invece "Lincoln" è tante chiacchiere, chiacchiere e per giunta senza distintivo.
RispondiEliminaTre stelle. Troppo buono. Troppo buono.
Vado a vedermi "Machete".
Alla prossima:)
Il fatto è che è molto valido per il continente americano, un film difficile da esportare, è chiaro che molti del nostro vecchio continente la pensino più come te che come me. Che poi fondamentalmente a me Spielberg non dispiace. Nemmeno War Horse.
Eliminafilm che è trovato davvero pomposo ma, al contempo, vuoto. Troppo idealizzato per me, e poco obiettivo
RispondiEliminaCome ho detto sopra, è un film troppo americano perché piaccia in Italia. Vincerà agli Oscar proprio per questo.
EliminaImmeritevole delle nomination come miglior film e miglior regia, è comunque un'ottima pellicola che purtroppo viene affossata da quei venti minuti finali troppo patriottici, ridondanti ed inutili.
RispondiEliminaAttori comunque grandissimi, Tommy Lee Jones quasi più bravo di Daniel Day Lewis.
Secondo me invece gli ultimi venti minuti sono quelli che contano di più, fai un po'! :)
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