Molto spesso, nel corso della loro carriera, i registi
tendono a perdere lo smalto e la passione che contraddistingueva le loro prime
pellicole. Un piccolo luogo comune che non comprende il nostrano Sergio Leone,
amato e apprezzato in tutto il mondo e, ancora oggi, simbolo italiano della
settima arte. Con all’attivo sette film (più qualche titolo non accreditato),
l’autore è riuscito sempre a migliorarsi, fino ad arrivare alla sua opera più
completa, all’epoca bistrattata ed apprezzata solo in un secondo momento da critica e pubblico. La trama di C’era una Volta in America è più un pretesto per
usare i personaggi che muovono le fila della storia come mezzo utile al solo
scopo di raccontare un’epoca, un periodo storico ormai passato.
Lo stesso
titolo, con quel “c’era una volta”, inneggia a qualcosa di fiabesco e di
fanciullesco, trasformando poi il suo significato in antitetico, poiché tutta
la situazione infantile inizia a cadere a causa di tanti fattori. Lentamente i
bambini iniziano a crescere e a scoprire tante cose che vanno oltre la giovane
età. Le prime esperienze sessuali, i primi amori e i primi incontri con la morte
sconvolgono i loro sensi, facendoli maturare e mettendoli a conoscenza del
fatto che, forse, era meglio credere ancora nelle favole, nel “c’era una
volta”. Sì, perché se un tempo i bambini si ritenevano troppo grandi per le
fiabe, ora i grandi non vedono l’ora di tornare piccoli e recuperare le storie
in cui il bene vince sempre. Temi, questi, sottolineati dalle importanti e
simboliche ellissi temporali, dove risiedono i più importanti snodi della
trama. Classificato come il miglior gangster movie di tutti i tempi, questa
pellicola è riuscita a dare ai film ambientati in strada quel tono di realismo
e di commiserazione che distingue numerose opere di genere da tutto il resto,
tentativo sperimentato da molti altri autori, Clint Eastwood e Martin Scorsese in
primis. Ma la magia che sta dietro a tutto questo è irraggiungibile non solo
grazie all’esperta mano dell’italiano sognatore (che sicuramente ha visto
l’America in maniera molto diversa rispetto a chi ci è nato), ma anche grazie
alla forse più imponente e melanconica musica del premio Oscar alla carriera
Ennio Morricone, un compositore pronto a dare sempre il meglio e a rendere ogni
momento di ogni film a cui partecipa il più significativo della sua carriera.
La fotografia di Tonino Delli Colli, poi, immortala nel migliore dei modi tutta l’opera
conclusiva della carriera di Leone, lasciando la propria impronta ad ogni
ambiente interno e rendendo significativo qualsiasi angolo di strada. Non
possiamo, in conclusione, tralasciare lo splendido lavoro svolto da costumisti
e scenografi, pronti a rendere realistici vestiti e set, quasi come fosse più
un documentario d’epoca. L’ultima fatica di Sergio Leone è diventata un
film indimenticabile e obbligatorio per tutti gli appassionati del cinema, per
la sua bellezza estetica e tecnica ma, soprattutto, per la sua profondità e il suo contenuto simbolico, per non parlare dell’importanza storica che
possiede sia per quanto riguarda il genere gangster che per tutta la cinematografia. E vorrei continuare questa analisi ancora per molte righe,
poiché mi accorgo, mano a mano che scrivo, di avere dimenticato talmente
tante cose di cui parlare, come il fantastico lavoro svolto dagli attori
principali e dai co-protagonisti, o la fittissima nebbia pronta a sporcare
l’inquadratura per infastidire anche noi come i personaggi del film, ma le
opere magnifiche della settima arte racchiudono, generalmente, così tanti
concetti e sottotesti che sarebbe impossibile citarli tutti, e finirei sicuramente per fare un torto a tutto ciò di cui non si riesce a parlare in
queste poche righe. Per cui preferisco concludere questa incerta recensione
così, quasi a bocca aperta, con una piccola lacrima all’occhio sinistro, mentre
i titoli di coda del film scorrono ancora nella mia testa, e con un pensiero
che va al forse più grande maestro italiano del cinema, che ha saputo rendere
omaggio con una sola, ultima magia a due paesi, fieri di essere stati
rappresentati da un uomo che, quasi per gioco, prendeva la macchina da presa e
immortalava interi periodi storici e avventure a volte goliardiche e a volte
più drammatiche, facendolo sempre al grido sognatore e fiabesco della frase
“C’era una volta”.
Un film che purtroppo ho recuperato troppo tardi. Immenso, una visione davvero indispensabile!
RispondiEliminaCon questo film ho avuto un rapporto turbolento: la prima volta che lo vidi, non mi piacque per niente, per la lunghezza e per altri motivi. La seconda volta non mi piacque nuovamente. La terza cominciò a piacermi. E la quarta volta che lo vidi, mi commossi, e ne restai incantato. E' un film che va visto più volte, secondo me, per poterlo apprezzare veramente.
RispondiEliminaConcordo.
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