Se cercate un sostituto a Quentin
Tarantino prima dell’arrivo del suo prossimo film, Django Unchained, potete
trovarlo in Drive. Con questo
paragone, però, non voglio certo sminuire il talento e lo stile del danese
Nicolas Winding Refn, ma semplicemente affiancare il nome di un autore
conosciuto ed affermato a quello di un regista che si affaccia solo ora al
grande pubblico. Refn è, soprattutto in Italia, un
autore abbastanza sconosciuto ma pieno di talento. Dopo la trilogia di The
Pusher e l’acclamato Valhalla Rising: regno di sangue (mai usciti nei cinema italiani, ma disponibili per il mercato Home Video), il regista si lancia in una
storia dalle tinte noir completamente rivisitata nel suo stile ormai
consolidato e intrigante. La trama ha il sapore di qualcosa di già visto e di
già raccontato, con i suoi temi di vendetta, criminalità e doppia personalità.
Infatti questa pellicola sarebbe passata in sordina, se non fosse per
l’accurata regia minuziosa ed efficace di Refn. Il danese tenta di dare
un significato ad ogni inquadratura, giocando molto sull’inclinazione della
macchina da presa e su un montaggio classico quando necessario e adrenalinico
dove serve. Interessante soprattutto l’idea di caratterizzare i personaggi in
base a quello che hanno da dire: il protagonista (un Ryan Gosling veramente
molto bravo, mai esagerato e sempre enigmatico, anche se parecchio rigido) non ha bisogno di dire molto,
riesce a farsi capire con uno sguardo e non parla mai a vanvera, è chiaro e
conciso, preciso nei dialoghi come lo è nella vita. Discorso che si potrebbe
ampliare anche agli altri personaggi, dove i cattivi hanno mimica e battute
megalomani e ridondanti, la ragazza si dimostra timida e insicura anche nel
modo di esprimersi e così via. Tutti questi diversi modi di esprimersi e di
gesticolare sono aiutati anche dall’ottimo piano di regia che mescola
inquadrature fisse e primi piani lunghi a brevi e concisi movimenti di macchina
legati a qualche piano sequenza e ad alcune scene in ralenti davvero niente
male, il tutto inneggiante al più classico stile noir che ha dato il via a
questo genere splatter. Devo però sottolineare che Drive non rappresenta propriamente questo genere, poiché anche la violenza è un fattore di espressione del personaggio:
Driver è sicuro di sé e colpisce in maniera premeditata e ordinata, il marito
della ragazza è un debole e non riesce a fare altro che prenderle, il gangster
è un perfezionista senza cuore e sentimenti, dimostrato dalla sua collezione di
coltellini e dalla precisione chirurgica con la quale uccide i suoi nemici.
Altro tema interessante di Drive è quello del doppio. Il protagonista ha sì una
doppia identità, ma anche una doppia personalità, capace di passare dall’essere
dolce e simpatico a crudele e spietato (simbolici anche i guanti che Gosling
indossa quando cambia carattere), come quasi tutti i personaggi del film (i
gangster in primis). Tutto questo discorso è sostenuto dalla scelta delle
inquadrature, anche loro doppie, ovvero a volte pulite, definite e precise e
altre storte, inclinate e confusionarie. Anche il film è dualista, parte come
film d’azione per poi passare alla relazione tra i due vicini finendo con lo
sconvolgersi completamente, diventando violento e crudo. Con uno stile di regia preciso e
interessante, musiche ottime e suspense calibrata al millesimo, Drive rivisita
in maniera originale un genere e una storia ormai stereotipati, e regala allo
spettatore 100 minuti di puro cinema contemporaneo.
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