Con questo suo penultimo lavoro, da molti considerato più sottotono rispetto ad alcune sue precedenti pellicole (lo ammetto, pure io ho avuto difficoltà a farmelo piacere tanto quanto altri suoi titoli, a fine visione), Alfred Hitchcock si conferma ancora una volta maestro della suspense, nonostante qui e là lo smalto venga perso per dare spazio ad una spy-story non tanto interessante quanto i personaggi messi in scena. Frenzy è il classico delitto in cui l'assassino viene scambiato per un altro, dove gli indizi portano tutti verso una persona che in realtà non ha commesso il reato. Questo gioco di equivoci dura poco per lo spettatore, perché viene a scoprire quasi subito chi sia il vero serial killer ed è forse proprio qui la solita genialità di Hitchcock, poiché mette lo spettatore al corrente di tutti i tasselli prima che il film arrivi a metà, facendo in modo che il pubblico non si domandi chi sia l'assassino, bensì come farà il protagonista a scagionarsi dalle accuse.
Per la prima volta nella sua carriera il regista mette in scena un nudo femminile integrale all'interno di una scena di stupro, lasciando che il visibile spodesti il non visto e si ribalti quella sensazione che in Psyco era il punto centrale della sequenza nella doccia (sebbene il corpo maschile e quello femminile non entrino comunque mai in contatto tra loro, durante l'atto sessuale), scandalizzando il pubblico ma senza mai ripetersi (il secondo stupro, infatti, avverrà fuori campo, senza effetti sonori ma con un semplice carrello che lentamente si allontana dalla porta di casa dell'assassino, fino ad arrivare in strada, in uno dei più forti e drammatici piani sequenza della storia del cinema, dove lo spettatore spera in ogni momento che la ragazza riesca a salvarsi e a scappare). Ambientato a Londra, il film prende particolarmente in giro le autorità legali, in special modo gli ispettori di Scotland Yard, rifacendosi all'arguzia di Sherlock Holmes, mai citato ma preso evidentemente come esempio nella pellicola, a sottolineare il fatto che non ci si può fidare delle sole prove schiaccianti ma che si deve fare affidamento anche su altri fattori. Non sarà, infatti, il metodo scientifico dell'ispettore a risolvere l'intrigo e a salvare da una condanna di venticinque anni di carcere il protagonista, bensì il metodo deduttivo (o intuitivo-femminile, in questo caso) di sua moglie, che gli aprirà gli occhi e gli farà scoprire la verità. Non solo un simpatico omaggio all'investigatore più famoso di Londra, ma anche una sorta di riscatto morale da parte del sesso femminile, costretto nella prima parte ancora una volta nel ruolo di vittima da parte di un carnefice al maschile, ma elevato a risolutore effettivo (anche se in seconda) del caso in questione. Fattore onnipresente nell'universo cinematografico del maestro Hitchcock, forse anche perché sua moglie Alma è sempre stata la sua unica e vera musa ispiratrice nonché compresente collaboratrice che lo ha spinto ogni volta a concludere il suo lavoro. Non si può negare che alcuni momenti di questo lavoro siano un po' troppo didascalici, ma si resta comunque ad alti livelli e non si può non rimanere coinvolti dal risultato finale, ancora una volta di ottima qualità e dallo stile riconoscibilissimo ed inappuntabile. Alfred Hitchcock sforna l'ennesimo convincente, intrigante e delizioso thriller confezionato nel migliore dei modi, e poco importa se qui e là la vostra attenzione cala, perché la tensione rimane sempre alta.
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