Di thriller dai toni polizieschi ce ne sono tanti e sempre più piatti, soprattutto dopo l'avvento di serie televisive ben strutturate che hanno dato non poco filo da torcere ai loro fratellini cinematografici, per cui da un genere ormai abusato è lecito aspettarsi qualcosa che non è ancora stato proposto ed avere quindi delle aspettative piuttosto alte. Soprattutto se la pellicola si chiama L'ipnotista e se a dirigerla è un autore che ha fatto parlare di sé più di una volta (nel bene e nel male) di nome Lasse Hallstrom. Tratto dall'omonimo romanzo di Lars Kepler (chi l'ha letto l'ha definito geniale, per cui mi fido e mi astengo dal dare giudizi sull'opera narrativa) e riadattato per il grande schermo da Paolo Vacirca, questo film si fregia di un incipit crudo e grottesco davvero niente male, tanto da fare alzare ancora di più le sopracitate aspettative di chi sta guardando il film.
Tuttavia con lo scorrere dei minuti la noia attanaglia lo spettatore e ciò che viene messo in risalto sono dei canonici personaggi piatti e senza nessuna profondità narrativa che interagiscono tra di loro sfruttando un collante debole e poco convincente, approfittando di un ritmo lento che non riesce a coinvolgere il pubblico e che non si risolleva nemmeno in quelle tre o quattro scene di suspense sparse qua e là all'interno della storia. Un interessante viaggio all'interno di una strana disciplina come l'ipnotismo si trasforma ben presto in un noioso snocciolarsi di concetti triti e ritriti, messi in scena da un Hallstrom mai così in pessima forma e decisamente non a suo agio in questo genere di pellicole. Il peccato più grave è infatti dovuto all'immaginario visivo a cui l'autore si rifà, truccando, pettinando e vestendo i personaggi in modo che lo spettatore intuisca già da subito quale sarà il loro ruolo nella storia. Certo, i numerosi indizi inseriti all'interno della trama atti a depistare i dubbi del pubblico funzionano bene, ma sono più che altro delle furbe trovate messe lì tanto per tentare di allungare il brodo senza che il vero colpevole venga scoperto da subito (a dimostrazione di ciò vi invito a contare il numero delle volte che il vero assassino compare prima della rivelazione finale, numero che non svelerò per non farvi arrivare già da subito alla conclusione). Gli unici elogi che possiamo offrire vanno necessariamente a Mattias Montero e alla sua fotografia fredda e lugubre, molto adatta al tema e particolarmente convincente, singola mosca bianca all'interno di una pellicola che non riesce mai a bucare lo schermo e a regalare almeno una sequenza memorabile affinché chi guarda possa alzarsi dalla poltrona e tornare a casa con qualcosa di nuovo in memoria. Un filmetto come se ne vedono tanti, forse anche peggiore di molti titoli proprio perché la materia attorno alla quale lavorare - il libro di Kepler - aveva davvero tanti spunti su cui concentrare la propria attenzione, cosa che qui non succede mai. Hallstrom non riesce a capire quale parte del racconto mettere al centro dell'attenzione e finisce col creare un pasticcio sterile incapace di offrire a chi guarda un minimo di tensione. Con una produzione più matura alle spalle e un annetto di tempo in più per lavorare allo script sarebbe riuscito a diventare un thriller di grande impatto, ma purtroppo il risultato è questo e bisogna accontentarsi. O evitarlo, a voi la scelta.
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