Ancora cinema italiano e ancora Paolo Virzì, autore contemporaneo che ha sempre qualcosa da offrire in più rispetto alle classiche commediole da due soldi che si trovano spesso e (mal) volentieri grazie a produzioni e distribuzioni italiane incapaci di osare e di sperimentare fidandosi del pubblico nostrano, ma la parentesi sarebbe più ampia di così e non è certamente la sede giusta per addentrarci in questo argomento, per cui torniamo al tema principale e iniziamo ad analizzare Baci e Abbracci. Con una introduzione simile vi aspetterete un film geniale e originale, pieno di spunti e particolarmente riflessivo. Non nego che degli accenni a queste cose ci siano all'interno dell'opera, ma ci si trova piuttosto di fronte ad un Virzì sottotono e poco interessato ad approfondire i personaggi che generalmente sono il punto centrale delle storie che scrive spesso e volentieri in compagnia di Francesco Bruni.
Questa volta la sceneggiatura sembra sorvolare sui protagonisti portati sullo schermo da un cast di bravissimi attori semi-sconosciuti come Francesco Paolantoni che interpreta il signor Mario causa di ogni male o il personaggio principale Renato portato sullo schermo da un geniale Massimo Gambaccini, che riescono a fare divertire con le caratterizzazioni e le loro interpretazioni provinciali e volutamente iconiche ma che non hanno la stessa profondità né gli stessi caratteri di altri protagonisti degli altri lavori del regista. Stessa cosa succede con i rapporti tra di loro, che risultano sempre ben pensati ma mai approfonditi a dovere, senza che il film riesca ad andare oltre la tematica principale della bontà, del Natale, dell'abbandonare i propri problemi di fronte ad una tavola imbandita e organizzata apposta per farsi perdonare e davanti ad una partita improvvisata di calcetto. Ad appesantire la visione ci sono, assieme a questi pochi cliché tipicamente italiani, anche dieci minuti piuttosto superflui all'interno del film che non fanno altro che rigirare il dito all'interno dello scambio di persone anch'esso sfruttato troppo poco per quanto riguarda l'emotività dei personaggi e i rapporti che intercorrono tra loro, risultando quindi un poco ridondante e con una idea apparentemente ottima ma sfruttata giusto per arrivare alla sufficienza del compitino originale diretto bene e con qualcosina di nuovo da raccontare. Al di là di tutto questo c'è un ottimo montaggio da parte di Jacopo Quadri, soprattutto nell'ultima parte che enfatizza ancora di più la tensione che si crea tra alcuni di questi personaggi una volta scoperto l'involontario inganno grazie ad un serrato alternarsi di piani medi e primi piani che stordiscono lo spettatore creando anche in esso quel senso di confusione che sta provando il protagonista. Ma senza questo più che interessante montaggio e senza qualche battuta spigliata detta da due o tre personaggi secondari (soprattutto i ragazzi della band molto più strutturati di chi invece dovrebbe portare avanti la storia) c'è ben poco da ricordare di questo quarto lungometraggio diretto da un autore che finora ha avuto la sua giusta gloria, ma che purtroppo cade sul bagnato e scivola a causa di una banalizzazione di alcuni momenti potenzialmente esplosivi i quali però non riescono mai a vedere il loro potenziale esplodere, assieme a dei personaggi che vengono presentati bene per quanto riguarda la loro gerarchia autoritaria nella ditta creata in comune ma la quale caratterizzazione termina lì, senza mai approfondire rapporti familiari, modi di essere o raptus di collera che vengono messi in scena qui e là ma che comunque rimangono appena abbozzati, senza dare un ritratto vero e proprio di chi ci viene messo davanti agli occhi. Un film che poteva dare molto, ma molto di più, da recuperare solo se siete dei veri appassionati di Virzì.
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