Con questa pellicola esordisce dietro la macchina da presa il fino ad allora co-sceneggiatore Paolo Virzì, ad oggi uno dei talenti più interessanti per quanto riguarda il panorama cinematografico nostrano. Ne La bella vita si possono scorgere alcuni frammenti di ciò che diventerà più avanti questo regista, che nonostante i pochi mezzi e comparti tecnici rudimentali e "alla buona", riesce comunque ad appassionare lo spettatore e a convincerlo di avere una storia piuttosto classica da raccontare in maniera molto originale. Virzì prende due star come Sabrina Ferilli e il sempre bravo (sì, anche nei cinepanettoni) Massimo Ghini e sporca la loro aura pubblica trasformandoli in delle apatiche e patetiche macchiette del piccolo paesino di Piombino, facendo in modo che la loro bravura possa riscattarli da una carriera (anche futura) di orribili film commerciali e dimostrando ai più scettici che gli attori italiani non sono il fanalino di coda della macchina "cinema" nostrana, ma che possono ancora offrire tanto, se imboccati con i giusti stimoli.
Virzì trova questi stimoli nel microcosmo livornese, che però si può allargare a una qualunque cittadina italiana, poiché mescola i classici problemi sociali del 1994 con i canonici dilemmi di coppia che imperversano sullo schermo dalla sua nascita. Con una intimità interessante e sempre interessata ai suoi protagonisti, la regia de La bella vita è definita da inquadrature sempre a favore degli attori, che sono il motore della storia e che riescono a dare delle ottime prove di recitazione, dal protagonista Claudio Bigagli alle già citate star. Tuttavia ciò che infastidisce leggermente è appunto questa patina indipendente che lascia un po' di amaro in bocca a causa di una fotografia non sempre nitida curata da Paolo Carnera e un montaggio ad opera di Sergio Montanari che qualche volta fa storcere un po' il naso allo spettatore più attento. Ma questi problemi sono dati dal fatto che la produzione del film è indipendente e sono piccoli nei sui quali bisogna sorvolare per concentrarci invece su una trama non certo priva di qualche momento un po' troppo lungo, ma decisamente chiara e che non perde mai il fulcro del film, ovvero l'analisi dei protagonisti e i rapporti tra i personaggi, come se Virzì avesse preso queste persone e chiuse in un teatro, analizzando minuziosamente che cosa sarebbe successo tra di loro e raccontando in maniera realistica e lineare una storia che non potrebbe concludersi altrimenti con dei personaggi delineati in quello specifico modo. Aiutato da Francesco Bruni l'autore firma non solo la regia ma anche la sceneggiatura di questo suo lavoro d'esordio che, nonostante sia classificato come "commedia", racconta una storia sulla quale c'è ben poco da ridere e i sorrisi che strappa sono il frutto di una dettagliata ed attenta trasposizione di eventi che potrebbero realmente succedere a noi o a chi conosciamo. Chiunque potrebbe essere protagonista di una vicenda come questa, anche il nostro vicino di casa, e le ambientazioni così intime e riconoscibili (il garage, la fabbrica, la casa e la strada) fanno in modo che il pubblico possa riconoscersi ancora di più in quei personaggi e fare sue le situazioni e le conseguenze delle azioni di ognuno di essi. Un film non perfetto, ma un esordio che oltre a raccontare molto bene uno spaccato realistico di vita, trasuda amore per il cinema da tutti i pori. Ottime le musiche di Claudio Cimpanelli.
Virzì solitamente mi piace molto, ma questo mi manca. Lo dovrò recuperare
RispondiEliminaL'università serve anche a questo. :)
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