La qualità che conta inizia qui. Nonostante anche i primi lavori di questo regista siano notevoli, c'è un trittico particolare, nella filmografia di Clint Eastwood, che segna una divisione netta tra il prima (dove possiamo trovare film come Il texano dagli occhi di ghiaccio) e il dopo (pellicole come Gran Torino, per intenderci). Con questo trittico Eastwood segnala al pubblico che i suoi personaggi non saranno più distinguibili tra buoni e cattivi, e che la sua cinematografia si interesserà da ora in poi molto di più ai sentimenti che all'azione. Ecco dunque che, assieme a Gli spietati e al giganteso Un mondo perfetto, anche I ponti di Madison County mette in mostra una nuova e struggente poetica all'interno dei film di questo inguaribile cowboy.
Merito soprattutto della precisa sceneggiatura Richard LaGravanese, che si è ispirato al romanzo di Robert James Waller e il quale ha affidato a Eastwood la regia del suo riadattamento per il grande schermo di questa storia. Eastwood ci mette tutta la sua capacità registica e attoriale (è interprete principale al fianco di una come sempre sensazionale Meryl Streep), oltre che firmare la produzione della pellicola. Ovviamente come attore il buon Clint è ormai noto per essere l'uomo dalle due espressioni (quella col cappello e quella senza cappello, come diceva Sergio Leone. E in questo film Eastwood raramente porta il cappello), ma il suo modo di inquadrare volti, dettagli e particolari rende la storia ancora più intima di quanto possa sembrare ad una ben più distaccata lettura del romanzo. Merito anche e soprattutto del montaggio ottimo e significativo di Joel Cox, geniale nell'unire tutti i piccoli momenti che Clint decide di registrare sulla pellicola e di unire assieme per poter creare una storia fatta di piccole cose, così come la vita della protagonista Francesca Johnson. Jack N. Green e la sua fotografia illuminano tutto quanto con la tiepida luce degli esterni e le calde sensazioni che emanano le lampade della piccola e accogliente casa di Francesca, dove avrà luogo buona parte della storia. Piuttosto anonima, invece, la colonna sonora di Lennie Niehaus, che compone sì musiche struggenti e valide per ogni momento, ma nulla di memorabile o di fondamentale per il film, che gioca molto sul fattore emotivo rappresentato da Meryl Streep e dai suoi due figli interpretati da Vicotr Slezak e da Annie Corley. I due infatti si infilano in un lungo e sconvolgente flashback che li metterà a conoscenza di un piccolo particolare della vita della loro madre, ma quale sarà la loro reazione? Eastwood fa riflettere lo spettatore sulla tematica dell'adulterio e sulla fragilità umana, su quanto noi siamo così deboli e come riusciamo facilmente a commettere errori. Ma mostra anche il lato buono delle persone, quel lato disposto a rimediare ai propri errori, pronto a fare la scelta giusta e disposto anche a perdonare i più imperdonabili sbagli commessi da qualcuno che ci è molto vicino. In fondo siamo tutti infilati nel vortice della già citata fragilità umana, l'unica cosa da fare e capirsi a vicenda e comprendere sia sé stessi sia gli altri, per poi decidere se si è disposti a passare sopra ai torti oppure tenere il broncio per il resto della vita. Un film commovente ed emozionante, come pochi se ne vedono. Uno dei migliori della produzione di Eastwood.
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