19 novembre 2012

La Città Verrà Distrutta all'Alba


Sono tanti i film degni di nota nella filmografia del regista George A. Romero, il quale non solo ci ha regalato una saga dedicata ai morti viventi iniziata nel 1968 e terminata – almeno temporaneamente – nel 2009, ma ci ha anche proposto pellicole più sconosciute ma di qualità eguale, se non superiore, alla sua serie più famosa. Il regista spazia continuamente tra vampiri, streghe, zombi e fantasmi, restando sempre sul genere horror e accomunando tutti i suoi lavori sotto uno stesso tema che si può tentare di riassumere in una sola parola: disumanità. Nelle pellicole di Romero è spesso l’uomo ad essere il vero villain di se stesso, sebbene sia minacciato da altri esseri e debba, in teoria, fare squadra per sopravvivere. Questa tematica è ancora più evidenziata in una delle sue primissime pellicole, rinominata dai nostri traduttori italiani con il titolo La città verrà distrutta all’alba, storpiando senza nessuna motivazione il titolo originale, pieno di significato e utile a capire al meglio la pellicola.
È in The Crazies, infatti, che si può trovare il vero senso di questo film, poiché il regista non ha intenzione di parlare di epidemie, di sopravvissuti e di evasioni, ma vuole invece concentrarsi sulla follia umana, tentando di svilupparla in tutte le sue forme. In quest’opera i temi sono tanti e tutti ben studiati, grazie all’ottima descrizione dei personaggi, ognuno dei quali ha qualcosa di diverso da raccontare ad uno spettatore spiazzato dalla profondità della terza pellicola di quello che sarà catalogato come uno dei maestri del cinema horror. Le riflessioni che si possono fare sono tantissime, ed è proprio questo il bello del primo Romero, che vuole rivoluzionare tentando di raccontare qualcosa che il pubblico non si aspetta, mettendo lo spettatore in una posizione tale che deve inevitabilmente riflettere su qualcosa, sia superficialmente che in maniera più profonda. Con questa nuova ideologia, questo autore non solo si innalza rispetto ad altri nomi del genere, ma riesce anche a dare una importante spinta all’horror, finora bistrattato da critici e cinefili e finalmente riconosciuto come un genere che ha qualcosa in più da offrire oltre al sangue e alla violenza. I difetti del film sono generalmente basati su un’indipendenza disturbante, che fa notare la sua presenza soprattutto in alcuni dialoghi a volte ridondanti e su recitazioni sì buone, ma qua e là troppo accentuate. Sono piccoli nei, questi, che non faranno apprezzare questo lavoro al grande pubblico odierno, anche a causa di un cattivo invecchiamento, ma che non infastidiranno i palati fini e ansiosi di recuperare pellicole di nicchia che hanno, nel loro piccolo, fatto la storia del cinema. Soprattutto se si pensa al fatto che, con mezzi ben più potenti, nel 2010, Breck Eisner diresse un ambizioso remake di per sé ben costruito, ma incapace anche solo di grattare la superficie di questo fantastico e profondo prototipo, che affonda le sue radici su un’indissolubile importanza delle diverse psicologie dei personaggi, ma anche sui loro rapporti litigiosi e conflittuali, causati a volte dal virus e altre dalla loro frenetica volontà di porre un rimedio a questa drammatica situazione. In un periodo come quello moderno, in cui i batteri e le tecnologie atomiche (citate anch’esse in questo film) sono una delle nostre principali preoccupazioni, è sempre un piacere riscoprire vecchie pellicole che già tempo addietro si concentravano su queste problematiche in maniera ben più originale di come fanno alcuni registi oggi.



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