20 novembre 2012

Cogan - Killing Them Softly


Dopo essere stato presentato alla selezione ufficiale dell’ultimo festival di Cannes, il nuovo film di Andrew Dominik è uscito nelle sale cinematografiche e siamo tutti in attesa delle varie edizioni Home Video che, presto o tardi, popoleranno i negozi virtuali e non. Cogan – Killing them softly è un continuo riferimento al buon vecchio cinema d’azione e alle grandi pellicole noir, con qualche richiamo anche al cinema orientale. Basato sull’omonimo romanzo di George V. Higgins, il film si sviluppa dall’inizio alla fine in un periodo piuttosto preciso, ma con qualche rimando alla presidenza di Bush, a quella di Lincoln e all’ultimo presidente americano Barack Obama, simbolo di un tempo statico seppure in movimento, sinonimo di qualcosa che, nonostante cambi, resta sempre la stessa. È la dura legge della vita a non modificarsi, e chi ha la pistola ha sempre il potere, tenendo conto che alla fine del viaggio si è sempre soli.
Le metafore e i simbolismi, poi, sono ciò di cui il film è pregno, e non passa un minuto senza che la pellicola rimandi a qualcosa di particolare o faccia riflettere lo spettatore. La parte più interessante della sceneggiatura è data dai dialoghi precisi, realisti e intelligentemente scritti dallo stesso Dominik, che può contare sia su una storia solida che su un uso sapiente della macchina da presa e del montaggio. Ralenti, piani sequenza, camera-car e campi lunghi raccontano la realtà cruda di questa vicenda, sillabando le situazioni ma senza chiarire tutto e subito. I primi piani e i controcampi, invece, sono messi in risalto da un eccellente cast di attori, capitanato sì da un Brad Pitt piuttosto classico nel suo ruolo di sicario, certamente impreziosito dai co-protagonisti Richard Jenkins, Ray Liotta e James Gandolfini, ma supportato per tutto il tempo dai due interpreti principali, il semi-sconosciuto e fantastico Scott McNairy e dal suo compagno Ben Mendelshon, che  ci regalano due interpretazioni assolutamente fenomenali, anch’esse al servizio di una macchina da presa sempre sul personaggio nel modo giusto, come si può notare nei giochi di soggettive, sfocature e ottiche sballate durante la sequenza centrale della soddisfazione dopo il colpo apparentemente andato a segno. Ogni momento, in questo film, sfrutta il suo lato più interessante, giocando sui punti forti e nascondendo quelli deboli. La tensione è giocata al meglio da un piano di regia minuzioso e dettagliato, e il risultato della pellicola, apparentemente venduta come action movie d’intrattenimento, è quello di una forte e aspra critica alla società umana e alla disperata lotta per la sopravvivenza, mai così dura come nel mondo della malavita. Il tutto viene enfatizzato dal già citato montaggio e dalle preziose ed emblematiche musiche utilizzate dal regista, anch’esse sempre pronte a dire qualcosa al momento giusto, mai usate come riempitivo o come accompagnamento, ma ogni volta significative e importanti, così come lo è la fotografia cruda e sporca ad opera di Greg FraiserCogan ha in pugno i temi forti dello script ed è pronto a snocciolarli durante lo scorrimento dei fotogrammi, dapprima stordendo lo spettatore, per poi accompagnarlo a riflessioni profonde, negative e critiche rispetto al mondo nel quale ci troviamo. È forse questo il significato della confusionaria contestualizzazione storica e dei rimandi ai vari presidenti americani: il tempo cambia, ma l’essere umano resta sempre lo stesso. E Jackie Cogan lo sa bene.



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