7 marzo 2013

Terraferma

Ancora una volta Emanuele Crialese fa capolino su questo blog, a poca distanza dalla sua prima apparizione, e ancora una volta lo fa con un'ottima prova non solo di regia, ma anche di cinema in senso più generico. Senza paura di esagerare ritengo Emanuele Crialese uno dei pochi validi baluardi del cinema italiano contemporaneo, seppure chiuso nella sua impossibile esportazione e trattenuto all'interno dei confini nostrani da un metodo narrativo che non riesce a rendere la storia universale. Ciò però è un neo del tutto trascurabile quando chi vuole raccontare una vicenda si mette in testa di farlo in questo modo così intimo e viscerale da appassionare anche lo spettatore più restio e in modo da rendere quella narrazione fruibile in tutto lo Stivale (il che non è poco, se si pensa a Crialese come a un regista che prima di raccontare un film racconta la sua terra, la Sicilia).
Applaudito sia dalla critica che dal pubblico, Terraferma si presenta come una storia moderna che affronta importanti tematiche discusse ogni giorno, in particolare quella dell'immigrazione e quella del cambio generazionale, narrati all'interno di un contesto provinciale esclusivo introvabile da altre parti se non in una piccola isola (del sud Italia). Il dualismo è ciò che caratterizza una scrittura al servizio non solo dei personaggi, ma anche di un'aspra critica nei confronti di un mondo contemporaneo sempre pronto a mettere da parte le regole di un mondo ormai superato per fare posto a qualcosa di moderno e necessariamente da conoscere, capire e, per forza di cose, condividere. Il grottesco e metaforico significato di un'acqua contaminata dal modernismo e resa caotica da disperati immigranti che cercano di raggiungere il paese a nuoto regala allo spettatore momenti grotteschi e forti capaci di rimanere a lungo impressi nella memoria. Merito, questo, anche della meravigliosa fotografia di Fabio Cianchetti, al quale è permesso divertirsi con gli spettacolari giochi di luce sicilaini, cambiando continuamente location tra interni ed esterni, tra giorno e notte. Le musiche, sia scelte che composte da Franco Piersanti, hanno il compito di rafforzare i momenti grotteschi e disturbanti del film, e ce la fanno sostenuti da un impianto sonoro davvero fenomenale (indimenticabile e profetica la sequenza della barca da aggiustare che sorvola gli uomini all'inizio del film come una minaccia incombente che presto si abbatterà su di loro, resa ancora più efficace grazie ai rumori che echeggiano all'interno della scena). Elogi a non finire al cast, a partire dal recuperato Filippo Pucillo (interpreta l'omonimo personaggio anche in Respiro), passando al cugino Beppe Fiorello, fino ad arrivare alla mamma Donatella Finocchiaro, al finanziere Claudio Santamaria e, in ultimo ma non meno importante, al nonno Mimmo Cuticchio, ognuno dei quali fa un'ottimo lavoro affinché il realismo e la messa in scena di Crialese risultino efficaci per il messaggio che vuole mandare, ovvero: "non esistono più i vecchi valori di una volta", un discorso chiaro e semplice e forse anche un po' ridondante (e decisamente semplificato in questa recensione, lo ammetto), ma raccontato con una poetica, una sapienza, una tecnica e una particolare minuziosità da fare impallidire molti suoi colleghi. 


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