20 dicembre 2014

Lo Hobbit - La Battaglia delle Cinque Armate

Viaggiamo per un attimo indietro nel tempo, a quell'ormai lontano 2001, quando La compagnia dell'anello si concludeva con la morte di Boromir per mano di un guerriero Uruk-hai, vendicato immediatamente da Aragorn. Il ramingo, dopo aver infilzato al torace il nemico, si ritrova faccia a faccia con esso, il quale gli ringhia addosso tutta la sua rabbia e il disprezzo che prova nei confronti degli uomini prima di farsi decapitare dall'erede al trono di Gondor. Quella scena era così reale, così vera, così impressionante che ti pare quasi di toccarlo, quell'Uruk, di respirare il fetido puzzo del suo alito. Torniamo ora al nostro 2014, quando Lo hobbit - La battaglia delle cinque armate offre al pubblico una scena simile (ciò che state per leggere contiene qualche spoiler, ma fidatevi, vi svelerò solo l'essenziale e il prevedibile, nulla di sorprendente): Thorin è sopra il suo acerrimo nemico Azog, detto il profanatore, e gli ha appena piantato la sua spada in mezzo al torace, conficcandogliela fino a perforare il ghiaccio su cui è accasciato l'orco il quale, sorpreso di essere stato ucciso, esala il suo ultimo respiro e muore. Niente da fare: nonostante Peter Jackson ci provi con tutte le sue forze, nulla riesce a comparare le emozioni, il realismo, la concretezza della Terra di Mezzo dei primi anni duemila.

11 dicembre 2014

Magic in the Moonlight

Se per il protagonista del film l'unico superpotere esistente brandisce la falce, per chi scrive l'unica certezza dicembrina è il sedersi in una sala cinematografica e godersi l'annuale prodotto dell'immancabile Woody Allen, regista sempre più bistrattato da un pubblico che gli grida addosso scaduto, venduto e tutte quelle belle parole che finiscono per -uto, non volendo accorgersi di quanto il cinema di Allen degli ultimi anni sia variegato, certo, ed inevitabilmente diverso dalle vecchie fasi che il regista ci ha regalato nel corso della sua carriera, ma allo stesso modo continuo e omogeneo. In Magic in the Moonlight, infatti, torniamo a parlare di magia e di amore, di fede e di scetticismo, di pessimismo e materialismo, di aldilà e romanticismo, con il più abile prestigiatore degli anni '20, Colin Firth, che deve smascherare la più abile finta medium del periodo, Emma Stone. In Firth si insinuerà il dubbio di una vita dopo la morte e di un bisogno di accettare qualcosa di incomprensibile, che non sarà propriamente un eventuale regno dell'oltretomba, alla fine del film.

8 dicembre 2014

The Counselor - Il Procuratore

C'è qualcosa che scricchiola e stride nell'ultimo film di Ridley Scott, che vorrebbe disperatamente farsi amare dal pubblico - il quale, almeno in parte, l'ha elogiato senza troppi problemi - ma che comunque non riesce ad ingranare in tutti i suoi aspetti. La prima cosa che salta all'occhio, in questo thriller scritto da Cormac McCarthy in persona, è la fantastica fotografia da Dariusz Wolski che dà risalto alle sequenze più importanti del film, come la prima, erotica, ottima scena in cui ci viene presentato il rapporto tra i personaggi di Michael Fassbender (sempre in ottima forma, capace di regalare una performance da brividi, due spanne sopra il resto del cast, forse anche per via della scrittura dei personaggi) e di Penélope Cruz, aprendo il film sulle romantiche e ammiccanti lenzuola bianche che avvolgono i corpi dei due amanti. La storia poi comincia a presentarci un personaggio più fastidioso dell'altro, tutti pronti ad insegnare e spiegare e far capire a Fassbender come funziona questo mondo marcio all'interno del quale si è infilato, con discorsi ai limiti del moralismo (per quanto un criminale possa fare la morale ad un avvocato che cerca soldi facili), i quali annoiano quasi subito per la loro ripetitività, nonostante la messa in scena fotografata da Wolski e le musiche di Daniel Pemberton mantengano alta la curiosità dello spettatore, che spera in un proseguo col botto.

6 dicembre 2014

Tartarughe Ninja

Alla fine ci provi e li guardi, decidi di dar loro una possibilità, perché in fondo anche questi film che sono dei prodotti di marketing annunciati a gran voce hanno bisogno di una chance, e invece, come il più delle volte, ti ritrovi lì ad aspettare annoiato la fine della pellicola che speri arrivi il più presto possibile, tant'è che ti stupisci che il film non duri più dell'ora e mezza e rientri nei canoni del semplice blockbuster d'intrattenimento. Come si fa, poi, a farsi venire la voglia di sparare a zero sul nuovo Tartarughe Ninja, che di nuovo ha solo il lato migliore di Megan Fox e il design di quattro tartarughe con un look più realistico, più digitale degli ormai iconici costumi in lattice degli anni '90, quegli intramontabili pupazzoni che erano dichiaratamente finti e per nulla credibili, ma che ci facevano divertire (forse anche di più) di queste nuove tecnologie ormai per nulla stupefacenti. C'è ben poco da dire sulla storia del film, il quale ricalca, anche se non fedelmente - probabilmente proprio per cercare uno spiraglio che faccia discutere il pubblico - la popolare storia delle tartarughe chiamate come i pittori rinascimentali italiani e ghiotte di pizza, cresciute in una fogna da un topo ninja, le quali devono sconfiggere il terribile clan del piede (nome chiamato in causa almeno quaranta volte solo nei primi venti minuti di film, per poi sparire per sempre e trasformarsi in Shredder nel secondo tempo) che minaccia la città di New York.